Vietnam democratico. Così il vicedirettore di Repubblica, Massimo Giannini, definì qualche giorno fa la difficoltà del Partito Democratico e del suo segretario Pierluigi Bersani a individuare un nome condiviso per il Quirinale. Una definizione che ha ripetuto oggi nella lunga diretta andata in onda sulla web tv del giornale e che a posteriori si è rivelata oltremodo profetica ed efficace.
In quelle due sole parole ci sono tutto il disappunto e la compassione per il caos che regna fra i democratici, che dopo Franco Marini sembrano aver “bruciato” anche Romano Prodi.
Un nome, quello dell’ex presidente del Consiglio, sul quale il cosiddetto “partito” di Repubblica aveva puntato molto, a cominciare dal suo direttore Ezio Mauro, che lo aveva definito un nome di esperienza esperienza, credibilità internazionale, sicura lealtà costituzionale, uno dei pochissimi adatti a guidare gli italiani dall’Istituzione più alta. Se non era una dichiarazione d’amore poco ci mancava.
Quella del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari è stata una scommessa, che col senno di poi può considerarsi persa, ma che soprattutto ha creato qualche battibecco interno.
Su Twitter sono fioccati i cinguettii di giornalisti sulla linea di Ezio Mauro (Luca Pagni e Roberto Rho) e di altri contrari al nome di Prodi (Giovanni Pons).
Ora le carte verranno probabilmente rimescolate e solo tra qualche ora si capirà se il Pd sarà in grado di proporre un nuovo nome (che ne penserà questa volta il direttore di Repubblica?) o se imploderà definitivamente aprendo la strada a scenari nuovi e inaspettati.