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Uno, due o Xi. La lotta alla corruzione come strumento di potere

Il presidente dell’Interpol, Meng Hongwei, è in arresto in Cina. La famiglia aveva perso i suoi contatti dal 25 settembre, quando Meng era partito da Lione, dove vive con la moglie Grace e due figli, per un viaggio verso Pechino: appena atterrato è stato preso in custodia dalla polizia per ordine della Commissione di sorveglianza nazionale.

Domenica 7 ottobre il governo cinese ha confermato l’arresto “per violazioni della legge”: per deduzione, considerando il ruolo che solitamente svolge la commissione nel sistema di controllo interno imposto dal presidente Xi Jinping, si era capito che Meng fosse finito accusato di corruzione. Circostanza poi confermata in un altro statement ufficiale, pubblicato dall’agenzia anti-corruzione, che comunque non riportava troppe spiegazioni – Pechino da anni, e ancora di più negli ultimi mesi, ha alzato notevolmente il tiro contro gli uomini del partito con giri loschi, ma ha spesso usato la corruzione come scusa per ripulisti interni e lotte di potere.

Domenica l’Interpol ha fatto sapere di aver ricevuto le dimissioni del direttore del comitato esecutivo, questo il ruolo effettivo di Meng, con “effetto immediato” (per ragioni di operatività, l’agenzia ha provveduto alla sostituzione ad interim con il suo vicepresidente, il sudcoreano Kim Jong-yang). Il cinese rivestiva anche il ruolo di viceministro per la Sicurezza a Pechino, incarico di governo che lo aveva portato all’interno del Comitato del Partito Comunista, dal quale però s’era dimesso ad aprile – un indizio sul fatto che i rapporti con la leadership non stessero andando bene. “[Meng] ha insistito nel prendere la strada sbagliata e ha solo se stesso da incolpare [per quel che è successo]”, il virgolettato è riportato nella dichiarazione della commissione cinese e attribuito al principale funzionario delle forze dell’ordine del paese, Zhao Kezhi. Informazioni non confermate dai media francesi dicono che potrebbe aver favorito una società di cyber security in una gara internazionale, ricevendo una tangente; altrove si legge che stesse pianificando un futuro in Svizzera.

Meng è soltanto l’ultima figura di alto profilo presa in custodia nell’ambito della vasta campagna contro la corruzione intrapresa da quando Xi è salito al potere nel 2012. Il presidente ha promesso che avrebbe catturato sia “tigri che mosche”, ossia i potenti come i normali cittadini, e ha abbattuto funzionari di alto livello come l’ex zar della sicurezza Zhou Yongkang. La lotta alla corruzione del sistema centralizzato cinese è uno dei punti della New Era, la dottrina politica di Xi. Non a caso, nella dichiarazione di lunedì, le autorità cinesi hanno alluso ai legami tra Zhou e Meng, che sono cresciuti attraverso l’apparato di sicurezza del governo sotto Zhou. La caduta di Meng – secondo la dichiarazione cinese – ha messo in luce “la determinazione” di Xi nel ripulire il Partito Comunista dalle mele marce, e ha sottolineato l’importanza della “lealtà politica” nei confronti della leadership del Partito sotto Xi. Due aspetti abbastanza diversi, che sono quelle due facce della lotta alla corruzione

La scorsa settimana, una delle più famose attrici cinesi, Fan Bingbing, è riapparsa dopo una lunga sparizione: ha pubblicamente ammesso di evadere le tasse e ha accettato di pagare una grossa multa. La vicenda di Fan, come quella di Meng, sono indicazioni palesi, messaggi chiari: chi non si allinea con Xi, chi non si comporta in modo adeguato secondo il presidente, può tranquillamente finire in una carcere, essere interrogato e rapidamente ri-educato. Chiunque: non importa se sia la Blink di “X-Men”, o il capo dell’agenzia che riunisce le polizie di 192 paesi.
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