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Se il governo perde la testa (oltre lo spread). Il commento di Giacalone

giacalone, manovra

L’impostazione del documento di economia e finanza non è affatto nuova, semmai nel segno della continuità. Il putiferio che è seguito, con l’Italia divenuta bersaglio della speculazione, deriva da una scelta intenzionale. Stiamo perdendo soldi, cerchiamo di non perdere la testa e di non prenderci ulteriormente in giro.

La sostanza è nel solco della tradizione: siccome l’Italia cresce assai meno degli altri europei, soffocata da un debito enorme, ci si propone di fare più deficit, generando più debito, per dare una spinta alla crescita, grazie alla quale il debito ascendente sarà percentualmente discendente. Non è solo il buon senso, ma la concreta esperienza a dimostrare che non funziona, ma è quel che si è fin qui fatto. Quelli di ora, i nuovi, insomma, fanno quel che facevano quelli di prima, i vecchi. La novità non è nello scritto, ma nell’orale.

Prima, per far quadrare conti che non sono mai tornati, si sovrastimava la crescita, si sottostimava il deficit e si prometteva un pareggio futuro, agguantabile allo stesso modo in cui Achille (non) raggiunse la tartaruga. Ma con maggiore distacco. La Commissione europea faceva finta di crederci, ammoniva che era non credibile, poi cedeva perché, in fondo, gli italiani erano felici di tornare a Roma e rassicurare i propri elettori: tranquilli, abbiamo troppi debiti ma siamo riusciti ad ottenerne di più. Demenziale, ma ripetuto. I mercati ci avevano già infilzati, allora con nostra grande colpa strutturale e bassa congiunturale, poi la Banca centrale europea aveva cambiato la realtà. Abbiamo avuto tempo, che abbiamo sprecato (lo dicevamo ogni settimana che passava, sicché posso ben ripeterlo ora). Adesso si è cambiata musica: lo spartito è quello di prima, ma gli orchestrali lo interpretano senza metronomo e con baldanza, sicché la crescita non è sovrastimata, ma fuori dalla realtà, il deficit non è sottostimato, ma orgogliosamente proclamato come fosse lo spostamento del Piave verso nord, mentre le riforme manco più si promettono, ripromettendosi le controriforme, destinate ad abbattere una già sfiancata competitività. Alla Commissione non è neanche lasciata l’opzione d’abbozzare, perché il tutto viene pubblicato con arrogante supponenza e maschia provocazione.

Domanda: sono matti? Irresponsabili sì, matti non proprio. Tutto questo farà saltare il fondo interbancario europeo e collocherà il rischio sovrano sia nelle casse dello Stato che in quello delle banche, una miscela venefica. Non ci porterà alcunché nel controllo delle frontiere. Non cambierà il ritardo nello sviluppo presente, in compenso propiziando più zavorra futura. Ma siccome nessuno crede più che la posta consista negli interessi del Paese, considerando il concetto stesso un concentrato d’appiccicosa ipocrisia, siccome nessuno ha da spendere una benché minima idea d’Italia futura, siccome il gioco è sempre lo stesso e va a finire sempre peggio, la posta sul tavolo è il consenso elettorale. Qui ed ora. Il resto non conta. Sicché basta far credere che i soldi ci sono, che si possono distribuire, che abbiamo, per la miseria (ora ci vuole) il diritto di consumare anche senza produrre, che siamo nati italiani e, quindi, dobbiamo pasteggiare e pensionarci prima di cinesi o africani, i quali facciano la cortesia di tenere aperti i negozi anche di notte e vendemmiare, ringraziando il cielo che glielo facciamo fare, che, insomma, veniamo prima di tutti gli altri, facendo amicizia con quelli che pensano anche loro di venire prima (che se vincono ovunque si sparano la mattina appresso), quindi non si sognino gli speculatori di toglierci i soldi che ci prestano, porca miseria (ci rivuole), votiamo e chiudiamo la partita.

Possiamo anche votare contro la forza di gravità, avvertendola che il popolo sovrano spicca il volo. Ma se, presi dall’entusiasmo, ci si lancia dal balcone l’esito è certo: spiaccicati al suolo. Con sovrano trapasso. Fin dove ci si spingerà? I soldi li stiamo perdendo, giorno dopo giorno, c’è da sperare che non si perda (del tutto) la testa.


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