Nell’udienza generale di questa mattina a San Pietro il Papa è intervenuto in modo forte, preciso e inequivocabile su uno dei temi morali più importanti e complessi del mondo contemporaneo: l’aborto.
L’occasione non è stata un fatto di cronaca, e nemmeno la volontà di dare sostegno ad iniziative determinate che spingono talora a ripensare la legge 194, o magari a rivederne l’interpretazione parziale che ne è stata data finora. No. Francesco si è fermato ad esaminare un principio cardine della dottrina cristiana, quello espresso dal Quinto Comandamento, paragonabile per un credente ad un articolo fondamentale della carta costituzionale. L’indicazione divina è semplice, non burocratica, e, proprio per questo, inconfondibile: “Non uccidere”.
Solitamente quando si considera la sola espressione di questo monito, per altro comune a tutte le religioni abramitiche, si tende a darne una lettura negativa, confinata al diniego dell’efferatezza brutale, dell’eccidio o dell’omicidio cruento.
In realtà, “non uccidere” indica invece una sacralità positiva dell’esistenza umana che non può essere valicata da nessuno, un rispetto per la persona che non può essere calpestato, un avvertimento pubblico e privato a riconoscere quanto di più miracoloso esiste in noi e nell’universo, ed amarlo così com’è: appunto l’essere in vita di ogni uomo e donna.
Il Papa ha parlato di questo Comandamento come una vera “muraglia” divina eretta a difesa del valore basilare dei rapporti umani. D’altronde, tutto il Decalogo nella tradizione cattolica è sempre stato considerato la Rivelazione che Dio fa al Popolo d’Israele della legge morale naturale, una verità razionale di per sé evidente, di cui la coscienza però ha scarsa consapevolezza in certe situazioni.
Di qui viene l’universalità e l’applicabilità estesa che il “non uccidere” guadagna in ogni tempo come idea normativa del bene oggettivo, spartiacque decisivo nel fondare interiormente la libertà autentica di ogni persona.
“La vita umana – ha precisato il Papa – è aggredita da guerre, da organizzazione che sfruttano l’uomo, dalle speculazioni sul creato, e da tutti i sistemi che sottomettono l’esistenza umana a calcoli di opportunità, mentre un numero scandaloso di persone vive in uno stato indegno dell’uomo”.
Questi mali sono, d’altronde, prodotti dall’uomo stesso, da un uso spregiudicato e arbitrario della sua libertà, intesa come potere illimitato che, assorbendo tutto, cancella ogni altra verità e rispetto sull’altare di diritti crescenti ed egoisti che arrivano talvolta perfino a giustificare il suicidio e l’omicidio.
Il caso più scandaloso in cui il Bene morale viene deliberatamente soppresso è quando la scelta individuale si rivolge contro una vita nascente, ossia quando viene praticato volontariamente l’aborto.
Il Papa ha rimarcato la gravità che questo omicidio venga subdolamente praticato con l’avallo legale, in nome di diritti reputati più grandi ed importanti della vita, una violenza e un rifiuto individualista che non cancellano per nulla la sofferenza reale che ne motiva l’atto, trasformando l’esercizio della libertà nella definitiva e tragica opzione di far fuori l’altro: “Un bambino malato è invece come ogni bisognoso della terra, come un anziano che necessita di assistenza, come i tanti poveri che stentano ad andare avanti”.
Il no assoluto del Papa all’aborto, e ad ogni altra forma di omicidio, invita a ripensare così con maggiore profondità l’enigma della nostra libertà, un bene intimo essenziale della persona che rappresenta un motore importante per l’auto determinazione, il quale, però, ha bisogno sempre di un conducente giudizioso che lo diriga, un pilota che non faccia andare fuori strada l’esistenza: la legge morale. La libertà, infatti, è una potenza spirituale positiva quando è condotta dalla ragione e resa operativa nel bene, compreso come obiettivo ultimo di un agire volontario responsabile applicato dalla coscienza al singolo caso vissuto. Quando invece si considera l’atto libero sempre positivo e valido a prescindere dalla ragione, dall’azione oggettiva, dalla vita e dal suo valore, il rischio è che non si valuti più nel concreto l’esistenza dell’altro come trascendente, superiore e invalicabile, ma la si derubrichi a materiale manipolabile e suscettibile finanche di cancellazione.
Il filosofo Jean Madiran diceva, in proposito, che solo una forte idea del bene è in grado di salvare lo Stato e la democrazia da se stessi, e tale oggettività ci è fornita appunto dal Decalogo delle leggi morali, riassunte nei Comandamenti, segnavia luminosi di ogni vera libertà.
D’altronde, apprezzare la vita umana e difenderla dagli inganni di questo mondo è l’unico modo, in definitiva, per essere conformi personalmente alla natura umana e alla felicità: un’autentica libertà di fare il bene, un’autentica libertà di evitare il male, essendo il male sempre e comunque una soluzione dannosa e peggiore, da subordinare a beni oggettivi di valore superiore.