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Il numero chiuso a Medicina, i 5 stelle e un fastidioso dettaglio

Che nessuno si sorprenda del “giallo” dell’addio ai test d’ingresso a Medicina. Possiamo arrabbiarci, possiamo non essere d’accordo, ma sorprenderci proprio no. Perché l’abbandono progressivo del “numero chiuso” all’Università è perfettamente in linea con l’idea di Paese del Movimento 5 Stelle. Parlavano di decrescita felice, quando ancora molti li archiviavano con un’alzata di spalla o un sorrisino. Il mantra dell’uno vale uno è alla base dell’idea stessa di partecipazione alla cosa pubblica, immaginata e realizzata da Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo. Selezionare, giudicare, promuovere sono concetti estranei, nella fase di approccio alla politica e, di conseguenza, agli studi. La bandiera non può che essere quella del “dare una chance a tutti”. Dal Parlamento all’Università (dove almeno, poi, ci sono gli esami…).

Peccato che nessuno si soffermi su un fastidioso dettaglio: la realtà. Dare una chance a tutti significa, nella maggior parte dei casi e in modo specifico a Medicina, spingere i ragazzi in modo disordinato e casuale, garantendo ancor meno di oggi uno sbocco professionale. Io le ricordo, perché le ho frequentate, le lezioni nei cinema, alla facoltà di Giurisprudenza della Federico II di Napoli. Al primo anno, nessun’aula al mondo avrebbe potuto ospitare tutti gli iscritti. Una comica, un simulacro di lezione, in una bolgia dantesca, in cui gli studenti erano semplicemente lasciati al loro destino. Nella maggior parte dei casi, coincidente con l’abbandono precoce degli studi o il parcheggio dei fuori corso.

Ai ragazzi, quante volte lo abbiamo sottolineato anche dalle pagine di Formiche.net, va detta la verità, soprattutto nelle sue parti meno comode. Per aiutarli e sostenerli non serve tanto la bonomia del “tutti dentro” (e poi sono cavoli vostri), quanto un’analisi seria delle facoltà in grado di garantire sbocchi lavorativi rapidi e certi. Nessuno vuole tarpare i sogni dei nostri figli, ma il compito del mondo degli adulti e ancor più della politica dovrebbe essere anche quello di indicare le esigenze del mondo del lavoro, indirizzando i ragazzi lì dove servono maggiormente e potranno realizzarsi. Si chiama orientamento e non è una brutta parola. Se le nostre aziende lamentano un’incredibile carenza di ingegneri, informatici, sviluppatori e figure tecniche – parliamo di decine di migliaia di posti di lavoro all’anno – è ad esempio inconcepibile il ritardo, nelle iscrizioni di ragazze alle facoltà Stem. Dati alla mano, sono più brave dei loro colleghi maschi, ma un mix di ataviche paure e ignoranza le tiene lontane da lauree funzionali al loro futuro. E a quello di tutti noi.

Invece di trastullarci con l’idea di cancellare la selezione, rendendo più facile l’inizio del percorso universitario e poi vada come vada, mettiamo mano ai metodi applicati. Se riteniamo che i test non siano validi, che si cambino i test! Cancellarli è solo un regalo all’Italia dell’appiattimento, del grigio uniforme. Noi abbiamo bisogno come l’aria di chi voglia eccellere, di chi accetti la sfida del mondo di oggi, senza paura. La concorrenza e la selezione sono l’unico antidoto conosciuto ai raccomandati e ai figli di papà. Sacrificare i più bravi, sull’altare dell’ideologia e delle frasi fatte, significa sacrificare un pezzo di futuro di questo Paese.



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