Il segretario al Tesoro americano, Steve Mnuchin, ha annunciato di aver deciso di non andare alla Future Investment Initiative, conferenza economico-politico-finanziaria organizzata dall’Arabia Saudita nell’ambito del macro-piano con cui l’erede al trono Mohammed bin Salman vuol differenziare l’economia del regno dal petrolio e lanciare Riad verso un futuro innovativo (la Vision 2030).
Il motivo per cui il più importante rappresentante americano non sarà presente è legato al caso di Jamal Khashoggi, giornalista del Washington Post misteriosamente sparito il 2 ottobre appena dopo essere entrato nel consolato saudita di Istanbul. La sua sorte sembra sia stata decisa da una squadra di sicari inviati – molto probabilmente su ordine di bin Salman – per eliminarlo e cancellare ogni prova. Khashoggi era un critico del nuovo corso saudita legato all’erede al trono e considerato vicino alla Fratellanza Musulmana.
Riad non ha fornito spiegazioni valide sull’accaduto, mentre i turchi hanno passato alla stampa internazionale pacchi di spifferate (non sempre affidabili) su quanto accaduto sostenendo la tesi: il giornalista è stato ammazzato su ordine della corte saudita. Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, di ritorno da un viaggio tra le due capitali alleate in Turchia e Arabia Saudita, proprio oggi aveva chiesto al presidente Donald Trump di dare qualche giorno in più ai sauditi affinché conducessero le propri indagini sui fatti. Una mossa che era sembrata un tentativo di dilazione, un modo per prendere tempo e permettere ai sauditi di costruire una storia credibile su quel che è successo a Khashoggi.
Tuttavia, nonostante Trump abbia preso una linea morbida e garantista sulla vicenda (dovuta essenzialmente all’importanza economica e strategica dell’alleanza con Riad, che lui ha voluto rinvigorire fin dall’inizio della sua presidenza), l’annuncio di Mnuchin sembra il primo vero rimprovero pubblico dell’amministrazione americana ai sauditi.
Il segretario al Tesoro, d’altronde, segue un trend che da qualche giorno si era innescato: in molti si sono ritirati dalla “Davos del deserto”, come viene chiamata la conferenza – che visto progetti sauditi è uno degli appuntamenti più attesi dell’anno. Dall’evento hanno iniziato a ritirarsi i grandi marchi del giornalismo mondiale, che erano i media partner della conferenza e avrebbero dovuto dare un senso di apertura (quello che Khashoggi chiedeva nel suo ultimo editoriale, pubblicato postumo oggi 18 ottobre dal WaPo): CNN, Cnbc, Bloomberg, New York Times, Washington Post, LA Times, Economist, Financial Times. La decisione era stata seguita dal Ceo di Uber, Dara Khosrowshahi e dal cofondatore di AOL, Steve Case, poi Bob Bakish di Viacom.
Più sono passati i giorni, con informazioni continue diffuse dalla stampa e senza chiarezza da Riad, e più lo smottamento è continuato: il 14 ottobre, in blocco, si sono ritirati dall’evento il presidente della Banca Mondiale, Jim Yong Kim e il Ceo di JP Morgan, Jamie Dimon, Bill Ford di Ford Motor e Ajay Banga ha ritirato Mastercard da partner. Il 16 hanno annunciato di non voler più partecipare John Flint di HSBC e David Petraeus, ex generale intellettuale che adesso la società di investimenti KKR (che ha fatto sapere che nessuno dei suoi dipendenti sarà presente, nemmeno ranghi inferiori).
Alcuni non parteciperanno, ma non hanno voluto esporsi apertamente per non intaccare le troppo le relazioni con l’Arabia Saudita: per esempio Stephen Schwarzman di Blackstone e Larry Flynn di BlackRock e con loro Bill Winters, il Ceo di Standard Chartered e Tidjane Thiam di Credit Suisse.
Per il momento resta confermata la presenza di Christine Lagarde del Fondo monetario internazionale, della trumpianissima Fox Business News e di Dina Powell, ora in forze a Goldman Sachs un tempo consigliere della Casa Bianca esperta di Golfo e intima della coppia Ivanka Trump e Jared Kushner – il secondo è considerato un amico personale del principe bin Salman, e artefice del riavvicinamento americano ai sauditi dopo che il Nuke Deal obamiano con l’Iran aveva raffreddato i rapporti. Deutsche Bank, Bnp Paribas, Deloitte, E&Y, Boston Consulting, McKinsey, PWC, sono ancora “knowledge partners” dell’evento.