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Siccità e migrazione. Viaggio nelle campagne africane a rischio

Nelle pianure che circondano Sirigu la terra produce i suoi frutti solo per tre mesi l’anno. Il resto del tempo le vaste spianate, puntellate di imponenti baobab, si trasformano in rugose distese simili a schiene di elefanti. L’aridità e il caldo rendono ardua qualsiasi forma di vita. Persino quei giganteschi alberi si arrendono e perdono le foglie, seccandosi in artigli aguzzi che sembrano trafiggere il cielo sino all’arrivo delle nuove piogge. Gli abitanti di quei luoghi vivono in promiscuità con il bestiame dentro primitive costruzioni di fango e paglia.

Sirigu si trova in Ghana, nell’Upper East: la regione meno urbanizzata del paese, dove circa l’80% della popolazione è rurale e sparpagliata in villaggi non dissimili. Stare laggiù è una sfida per la sopravvivenza: il cambiamento climatico affligge quelle terre in maniera eclatante, rendendo arduo emergere dalla povertà. Le piogge non sono più prevedibili come una volta. Durano sempre di meno. Sono troppo forti o troppo scarse. I campi vengono inondati o inariditi. E gli agricoltori locali, che coltivano secondo schemi di sussistenza, non riescono più ad interpretare i segni della natura come un tempo. Ne escono sconfitti, vulnerabili, immiseriti. A causa dell’aumento globale delle temperature e dei fenomeni antropogenici incontrollati nelle aree subsahariane il fronte sabbioso della fascia sahariano-saheliana avanza inesorabile. In tale zona climatica di transizione, che si estende orizzontalmente fra Gambia, Senegal, Mauritania e Mali sino all’Eritrea, vivono 15 milioni di persone a rischio umanitario e alimentare.

siccità 2Il processo della desertificazione sta facendo scendere sempre più a sud il confine di allerta e il nord del Ghana si trova a un passo da tutto ciò: fa parte di  quelle campagne africane caratterizzate ormai da un clima erratico, tale da impedire la programmazione di una benché minima forma di sfruttamento intensivo. Secondo i dati resi dalla Environmental Protection Agency (EPA), le cause più significative del degrado del suolo sono da attribuire alle attività estrattive illegali, ai pascoli eccessivi e ai cd. bush-fires, gli incendi nella savana praticati su vasta scala nella convinzione dell’efficacia del metodo “slash and burn” (taglia e brucia) per fare spazio alle coltivazioni. La resa dei terreni, di conseguenza, resta sempre bassa e la precarietà delle condizioni di vita porta i giovani più brillanti o dotati di sufficienti risorse economiche ad emigrare. Ci sono pochi studi che analizzano la correlazione diretta fra migrazioni e siccità, ma viaggiando per queste campagne si capisce come mai sono in pochi a desiderare davvero di vivere qui.

Per denunciare la gravità di simili rischi attraverso i reportage della serie “Untold Africa”, ho realizzato alcune interviste nella regione ghanese settentrionale. Rispetto ai classici insediamenti umani, però, a Sirigu ho trovato qualcosa di speciale: qui le donne si sono organizzate in un movimento che le tiene impegnate in attività diverse dall’agricoltura. Fondata nel 1997, la SWOPA (Sirigu Woman’s Organization for Pottery and Art) promuove l’arte pittorica locale, la realizzazione di ceste di vimini e di ceramiche da vendere ai turisti o nei mercati limitrofi. SWOPA è anche un ecolodge (molto basico) che sfrutta turisticamente il fascino delle tipiche costruzioni a volta simili a trulli e decorate con precisi motivi geometrici. Se sono gli uomini a erigere le abitazioni, mescolando materiali elementari come il fango e la paglia, spetta alle donne abbellire in maniera unica quelle pareti. I colori sono limitati al rosso, nero e bianco, ma le figure richiamano le attività agricole e pastorali. Il serpente, nemico dell’uomo per antonomasia, viene stilizzato sugli stipiti a significare un auspicio di fortuna. Il triangolo rappresenta un frammento di zucca, usato come recipiente o scodella. L’aia e il recinto per le bestie fanno parte dell’ambiente familiare e sono ugualmente dipinti. All’ingresso non manca mai una caratteristica cupola di fango che contiene i resti degli antenati e serve ad ospitare i sacrifici animali per gli dei.

In questi luoghi, del resto, la religione è indistinguibile dalla politica, dalla morale tradizionale come anche dalla superstizione. L’animismo fa da base ad una sorta di sincretismo cristiano e musulmano che si risolve in una generica ed ancestrale paura della punizione divina. Tutti svolgono un ruolo preciso nella rigida piramide sociale legata alla sopravvivenza. Le mansioni di ogni individuo sono legate ai cicli della natura e finalizzate all’ottenimento di una sufficiente quantità di provviste per superare la stagione secca. Quando le riserve finiscono, non resta loro che mangiare la frutta selvatica, come quella dell’immancabile baobab, le noci di karitè o altre bacche commestibili come il dawadawa. Nessuno lì può permettersi il lusso di possedere dei risparmi e se si ha bisogno di qualche oggetto non reperibile in natura si pratica il baratto. Le uniche spese che si sopportano sono quelle legate alla salute, se non si trova guarigione attraverso la medicina tradizionale (i cd. herbal doctors), e all’acquisto di materiale scolastico per i bambini. All’occorrenza si venderà una capra o un pollo per ottenere denaro in contanti.africa citino 2

L’adattabilità di queste popolazioni a contesti differenti, vuoi agricoli più avanzati, vuoi urbani, è molto dubbia. Piuttosto, per disinnescare l’assoluta dipendenza dalla terra e uscire dalla morsa stringente della vulnerabilità occorrerebbe puntare su modelli di sviluppo che diversifichino le fonti di sostentamento, rendendo le comunità indigene meno dipendenti dagli aiuti caritatevoli o dai volatili investimenti governativi. Sirigu, con le sue splendide arti murarie, potrebbe diventare una calamita per l’ecoturismo. E così tanti altri villaggi, se vi fosse qualcuno disposto, in primo luogo, ad attivarsi per renderli noti. Il resto, se c’è la curiosità e la buona volontà, viene da sé.



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