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No all’Europa, sì all’Eurasia. Il sogno (illiberale) di Alexandr Dugin

C’è chi lo ha definito “eminenza grigia del Cremlino” e “braccio destro di Putin”. Ma ad Alexandr Dugin questi nomi stanno stretti. Anche il fortunato soprannome di “Rasputin” del presidente russo affibbiatogli anni fa da Breitbart News, l’emittente a suo tempo guidata dall’ex capo stratega di Trump Steve Bannon. In Italia è ormai un volto noto, e soprattutto ben accolto ai tempi del sovranismo in salsa gialloverde. Il filosofo russo, già fondatore del Partito nazionale bolscevico con Eduard Limonov e padre del movimento Eurasiatista degli anni ’90, è tornato sugli schermi italiani in un’intervista a ½ Ora in più di Lucia Annunziata su Rai 3.

La conversazione con Eva Giovannini è ancora una volta un inno sfrenato all’esperimento populista italiano, l’unico nella storia recente ad aver celebrato con successo le nozze di un movimento che affonda le sue radici nell’ecologismo di sinistra e una forza politica sovranista transitata a destra negli ultimi anni. È un case study cui in tanti fra i profeti del populismo globale guardano con ammirazione dall’estero, compreso Bannon che avrebbe volentieri cercato un punto di incontro fra l’irruenza di Donald Trump e l’animosità di Bernie Sanders. Dugin però con Bannon ha ben poco a che spartire. Guarda con favore all’ondata anti-establishment che attraversa il Vecchio Continente, ma a differenza dell’ex braccio destro del Tycoon disprezza gli yankees e sogna un’Europa a immagine e somiglianza della Russia putiniana. È il progetto di “una grande Eurasia dall’Ucraina alla Manciuria”, di “una potenza della terra” contrapposta alla “potenza del mare” degli Stati Uniti che fin dal XIX secolo il movimento eurasiatico va vaticinando. Sono idee che hanno trovato ampio spazio nei manuali russi di strategia militare e di politologia, e che negli anni ’90 hanno affascinato un giovane Vladimir Putin impegnato a trascinare il Paese fuori dalla dolorosa e confusionaria transizione storica della Russia di Boris Yeltsin. Oggi Dugin ha la fama di eretico perfino a Mosca, dalla cui università è stato cacciato per aver esternato con troppa enfasi il suo auspicio per la soluzione del conflitto in Ucraina (“Uccideteli, uccideteli, uccideteli tutti”), e considerarlo consigliere fidato di Putin è a dir poco azzardato.

Ma in Italia ha trovato un terreno fertile per dare nuova linfa al suo progetto di una Grande Russia e alle profezie di un Occidente prossimo all’estinzione. “L’Occidente non è morto, ma sta morendo” dice al programma di Annunziata, “dopo il crollo dell’Urss si credeva che il liberalismo fosse l’unica ideologia rimasta, e invece oggi dobbiamo comprendere nuovi sistemi e forme di governo”. Di qui un attacco frontale allo stesso sistema democratico che, dice Dugin, non va dato per scontato: “Tutta la storia russa è attraversata dall’illiberalismo di destra e di sinistra, è questa la nostra identità”. Vladimir Putin? Il filosofo russo, come già ha fatto in passato, gli rimprovera troppa morbidezza (sic!), ha lasciato troppo spazio agli oligarchi, dice, ma non manca di sottolinearne i meriti: “ha riportato il Paese alla sovranità, l’indipendenza, il potere dello Stato è condizione necessaria per la libertà”.

In Europa due sono i degni allievi, dice Dugin. Il magiaro Viktor Orban, che “difende l’interesse e l’identità del suo popolo contro la retorica totalitaria dell’Ue”. E ovviamente Matteo Salvini, che Dugin sostiene di aver incontrato più volte. “In lui vedo rappresentata l’Italia, il suo popolo e la sua società. È affascinante parlare con lui, è il vero leader del popolo italiano”. Il suo successo, continua Dugin, “non è di public relations, la sua è un’energia popolare, diretta, concreta”. Al vicepremier italiano dunque vanno affidate le chiavi per “la rifondazione in chiave populista” di un Ue che “è un totale disastro, non è più europea”. Dugin invita a restare vigili: “i nemici del populismo” possono tornare più forti, il governo gialloverde può anche cadere, ma ormai il processo è avviato ed è impossibile fermarlo. E le opposizioni? Lo stratega ha un’idea tutta sua, piuttosto diffusa in madrepatria, sull’importanza della loro sopravvivenza. “È necessario che esistano, perché danno l’esempio di ciò che è male. I progressisti sono molto utili, bisogna conservare il Pd e Renzi per mostrare la storia del crollo delle loro idee”.

Foto: Bloomberg



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