La guerra siriana è passata come un interminabile tornado sulla Siria, la sua popolazione, le sue espressioni sociali e culturali. Per dare un contributo a uscire dal buio del presente e cercare di avviare un futuro diverso, da mesi la Comunità di Sant’Egidio ha deciso di ospitare a Roma, nella più assoluta riservatezza, esponenti delle varie opposizioni siriane, che ieri hanno convenuto su un documento politico per il futuro comune.
Il momento della vittoria del regime è imminente, e Mauro Garofalo, il responsabile dei progetti internazionali della Comunità che ha accompagnato il dialogo siriano, ritiene che “vinta la guerra il regime di Assad non potrà vincere da solo il dopoguerra. Ha bisogno dei grandi vicini e soprattutto della Comunità Internazionale per poter affrontare l’indifferibile ricostruzione del Paese”. L’idea sembra quella di gestire il possibile per evitare che la Siria diventi il buco nero della storia. Si è arrivati così a un documento che cerca anche una strada per la rimozione di gruppi armati e milizie straniere presenti sul territorio siriano, per i secondi indicando il necessario ritiro. Era importante dirlo, ma lo spirito, l’obiettivo di fondo appare quello di uscire dal presente evitando un ritorno al passato, con un processo politico costituzionale che parta dalla liberazione dei prigionieri, l’offerta di garanzie certe per un ritorno sicuro a tutti i rifugiatisi all’estero, l’amnistia generale dal 2011 e la sospensione del servizio militare obbligatorio.
Guardare avanti per non cadere all’indietro, cercando di cominciare a costruire riferimenti comuni tra chi c’è ai tavoli negoziali siriani, le varie opposizioni, coalizioni che non si apprezzano, forse in qualche caso si considerano o vengono considerate espressioni di quella “colonizzazione” politica per cui uno è filo-russo, l’altro è filo-turco, un altro ancora filo-saudita e così via. Qui ci sono certamente delle verità, ma senza di loro con chi si potrebbe cercare di rimettere in modo un percorso politico? “Ricostruire e ridare voce a una società civile in una situazione estrema come quella siriana è molto complesso, o problematico. Ma ci si potrà arrivare se il percorso politico-costituzionale sarà condiviso. Noi non abbiamo potuto affrontare il problema della struttura del negoziato costituzionale di cui il mondo parla per la Siria; sappiamo che Assad vuole i due terzi e la presidenza dell’autorità incaricata della redazione della nuova carta costituzionale e l’Onu non può accettare. Così il nostro problema era portare persone che di questo processo dovranno far parte, con le loro diverse sensibilità e i loro orientamenti, a condividere che occorrerà, ad esempio, un governo di transizione per guidare la fase di transizione e che questo governo provvisorio, che porterà alle nuove elezioni, dovrà essere convenuto tra le parti. O che servirà una Commissione Elettorale e la supervisione dell’Onu per il processo elettorale. C’è questo e tanto altro nel documento firmato a Roma da esponenti di coalizioni che si sono impegnati a portare il documento alle loro coalizioni, avviando così un processo di riconoscimento e collaborazione sui contenuti nell’attesa che altri, non noi ovviamente, risolvano i problema della forma. Ma quando quella forma sarà trovata non ci troveremo al punto di partenza. Non nascondere le difficoltà vuol dire riconoscere anche i meriti, ad esempio è importante dire che l’autorevolezza quando c’è viene riconosciuta anche in contesto così delicato, sulla base della testimonianza. La presenza a Roma, tra noi, di Nawaf Fares, che ha rinunciato al suo potere politico considerevole nel 2011 per una scelta riconosciuta da tutti come non “pilotata”, ne ha fatto un punto di riferimento che in questo processo ci ha molto aiutato”.
Per la Siria siamo dunque alla ricerca di un cammino difficilissimo che deve tener conto di quanto è scritto nel libro delle Lamentazioni: “Poiché è grande come il mare la tua rovina, chi potrà salvarti?”. Le rovine siriane non sono solo materiali.