“Il patriarcato di Mosca in Ucraina già non c’è più”, le sue strutture sono sciolte e i ministri del culto appartengono al “Trono Ecumenico”, come i ministri delle altre due Chiese ortodosse esistenti, quella guidata da Filarete e quella guidata da Macarios; “tutti devono attendere la convocazione del concilio, nel quale i vescovi, i religiosi e i laici daranno vita alla Chiesa Ortodossa in Ucraina.”
Di questa dichiarazione rilasciata alla Bbc da uno dei più stretti collaboratori del Patriarca Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli e primus inter pares dell’ortodossia, quel che colpisce è l’idea che gli uomini e gli uffici legati al patriarca russo Kirill non siano più tali, operativi. Ma ciò che deve colpire è il fatto che l’esponente del patriarcato ecumenico, l’arcivescovo Job di Telmessos, abbia fatto il nome della nascente Chiesa, che non è Chiesa Ortodossa Ucraina, ma Chiesa Ortodossa in Ucraina. Perché?
“Perché la Chiesa ortodossa è una, ed è di Cristo e non delle nazioni.” Questo punto, cruciale per gli ortodossi, ha portato in occasione di importanti concili panortodossi, a definire il filetismo un’eresia. E cos’è il filetismo? Correva l’anno 1872 quando un sinodo ortodosso condannava specificamente come eresia il “filetismo”, cioè l’idea che la Chiesa dovrebbe essere divisa per linee etniche: “Denunciamo, censuriamo e condanniamo il filetismo, vale a dire, la discriminazione razziale e le dispute, rivalità, e dissensi su basi nazionali nella Chiesa di Cristo, come antitetico agli insegnamenti del Vangelo e ai sacri Canoni dei nostri beati Padri, che sostennero la santa Chiesa e, ordinando l’intera ecumene cristiana, guidandola alla pietà divina”.
Ecco perché l’arcivescovo Job ha potuto approfondire la sua affermazione, dicendo che le Chiese slave ortodosse usano impropriamente la loro definizione nazionale, che dovrebbe essere quella indicata per l’Ucraina, e cioè Chiesa ortodossa in un determinato territorio e non Chiesa ortodossa serba, o russa e così via; è la questione di fondo dell’ortodossia, che è cattolica nel senso di universale come tutte le Chiese cristiane, non nazionale. Cadere nel filetismo vuol dire cadere in una tentazione eretica, ha dunque ricordato l’arcivescovo.
Un’eresia che comporta anche rapporti non lineari con il potere politico nei Paesi in cui la Chiesa ortodossa vive. Così si capisce anche perché il patriarcato ecumenico ortodosso sia quello di Costantinopoli e non quello di Mosca. È lo stesso motivo per cui il papa è il vescovo di Roma e non quello di Washington. Costantinopoli come Roma erano le sedi apostoliche, non Mosca o Washington. A Mosca lo sanno bene, è anche per questo infatti che da secoli a Mosca molti ripetono quel che disse il monaco Filofei nella seconda metà del XVI secolo: Roma e Costantinopoli sono cadute, la cristianità esisterà solo per “la Terza Roma”, che mai cadrà. Questa visione spiega la concezione “imperiale” di certo pensiero molto identitario.
Le dichiarazioni dell’arcivescovo Job spiegano bene quanto sia “esistenziale” la discussione apertasi nel mondo ortodosso sulla legittimità della richiesta degli ucraini di avere una propria organizzazione autocefala, cioè di non appartenere più al patriarcato di Mosca, ma di avere una propria autonomia all’interno del mondo ortodosso. E diviene chiarissima così la risposta del vescovo Job ai russi: se loro contestano il diritto del patriarcato di Costantinopoli di riconoscere l’autocefalia alla Chiesa in Ucraina, allora dovrebbero rinunciare alla loro autocefalia, visto che gli venne concessa dal patriarcato di Costantinopoli nel XVI secolo.
Altro punto importantissimo sul futuro assetto: l’arcivescovo Job ha chiarito che in ogni territorio ci può essere una sola Chiesa ortodossa, quindi se Mosca non riconoscerà la nascente Chiesa Ortodossa in Ucraina non potrà creare in quel territorio un proprio esarcato, cioè un proprio distretto amministrativo. La questione dunque è importantissima e non riguarda soltanto l’Ucraina, ma il futuro stesso dell’ortodossia, la sua natura universale e la possibilità che le Chiese si leghino troppo a dimensioni nazionali o nazionaliste o etniche o tribali. Anche per questo la risposta di Mosca è stata questa: “siamo preoccupati per le condizioni di salute mentale del vescovo Job.”