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Quanto è attuale l’esperienza di Bose. Anche per il Papa

santa marta

1965: erano i giorni successivi alla chiusura del Concilio Vaticano II quando Enzo Bianchi arrivò nell’abbandonata frazione di Serra di Ivrea, in Piemonte, per dare vita alla Comunità monastica di Bose, che dopo averne scritto la regola fondò nel 1968, cinquant’anni fa. Per capire lo spirito di Bose occorre tenere presente che a condividere da subito i primi passi del futuro priore Enzo Bianchi ci furono alcuni valdesi, l’altra presenza cristiana radicata in Piemonte.

Quando si dice che abbattere i muri è uno “slogan vuoto” o forse “un sogno impossibile” bisognerebbe pensare anche a questa storia e tenere a mente che Papa Francesco ha saputo recarsi al tempio valdese di Torino, oltre che ricevere i valdesi in Vaticano. Perché solo così, si risponde all’appello a ‘essere una sola cosa’. La regola di Enzo Bianchi prevede che monaci ed ospiti vivano pregando e lavorando, seguendo gli insediamenti di San Benedetto, San Basilio e San Pacomio. Sostenuti dal frutto del lavoro manuale, cura della terra e dell’orto, nella produzione di manufatti artigianali e religiosi, opere di falegnameria, scrittura di libri e pubblicazioni, servizio alla comunità. Tutto nella comunità avviene secondo un calendario preciso.

La liturgia delle ore viene celebrata tre volte al giorno, mentre in determinati periodi ci sono le Settimane Bibliche, dedicate a chiunque intenda approfondire lo studio della Parola di Dio. Gli approfondimenti sono accompagnati dagli esercizi spirituali e da lezioni delle lingue sacre. Il lavoro di Enzo Bianchi per far cadere i muri oggi non è più quello di priore della sua Comunità, ma quale fondatore di questa straordinaria esperienza che riunisce 90 monaci appartenenti a diverse Chiese cristiane, ne è ancora l’anima religiosa e culturale. Ed è a lui che Papa Francesco ha scritto per rendere omaggio a questa “feconda presenza nella Chiesa e nella società mediante una peculiare forma di vita comunitaria sorta nel solco degli orientamenti del Concilio Vaticano II”.

L’incontro, l’accoglienza, l’ecumenismo, in particolare con gli ortodossi, gli incontri annuali divenuti uno dei momenti più alti della riflessione religiosa sull’oggi, sono le cifre pubbliche di un’esperienza che ha luogo in Italia, ma che travalica i confini nazionali. Bose è divenuta negli anni una comunità anche di alta “diplomazia” grazie alla reciproca conoscenza, una fabbrica di cultura, di idee, di sensibilità cristiana aperta. Questo punto viene colto subito dal messaggio del Papa che sottolinea come il semplice inizio sia “divenuto una significativa missione che ha favorito il rinnovamento della vita religiosa, interpretata come Vangelo vissuto nella grande tradizione monastica. All’interno di questa corrente di grazia, la vostra Comunità si è distinta nell’impegno per preparare la via dell’unità delle Chiese cristiane, diventando luogo di preghiera, di incontro e di dialogo tra cristiani, in vista della comunione di fede e di amore per la quale Gesù ha pregato.”

Bergoglio non poteva non sottolineare il tratto più profondo e profetico per l’oggi dell’esperienza dei monaci di Bose e dalla vita di Enzo Bianchi, cioè l’ospitalità, esprimendo “apprezzamento specialmente per il ministero dell’ospitalità che vi contraddistingue: l’accoglienza verso tutti senza distinzione, credenti e non credenti; l’ascolto attento di quanti sono alla ricerca di confronto e consolazione; il servizio del discernimento per i giovani in cerca del loro ruolo nella società”. Basta guardare l’oggi, intriso di rabbia identitaria in tempi di crisi non capita, non accettata, non elaborata, per capire il prosieguo: “di fronte alle sfide contemporanee vi incoraggio ad essere sempre più testimoni di amore evangelico: anzitutto fra di voi, vivendo l’autentica comunione fraterna che rappresenta il segno, dinanzi alla Chiesa e alla società, della vita alla quale siete chiamati. Gli anziani della comunità incoraggino i giovani e i giovani si facciano carico degli anziani, tesoro prezioso di sapienza e di perseveranza. Potrete così vivere con grandezza di cuore anche con gli altri, specialmente con i più poveri di speranza”.

A cosa serve un anniversario, osserva il Papa, se non a meditare più intensamente sulla propria missione, che nel caso della Comunità di Bose passa attraverso la sobrietà scelta agli inizi, in quei luoghi abbandonati e la fraternità nella carità, due chiavi di quella radicalità evangelica che uniscono Bose e Jorge Mario Bergoglio.



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