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Terra, casa e lavoro. Il popolo, da papa Francesco a padre Spadaro

Una volta Papa Francesco parlò durante un’udienza del mercoledì di “popolo”, come concetto “mitico”: all’Osservatore Romano pensarono che il papa, come a volte gli accade, parlando a braccio avesse fatto un errore e trascrisse diversamente, cioè concetto “mistico”. Lo rivela lo stesso Bergoglio nel libro intervista “Dio è un poeta”. Il concetto di “popolo” è molto importante e parlando proprio di questo  ieri sera, in occasione della presentazione del libro di Paolo Gentiloni, “La sfida impopulista”, il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, ha aiutato molti a capire meglio cosa voglia dire popolo, “scelta consapevole di vivere insieme”. Un’espressione molto efficace per renderci conto che non c’è esclusione, non c’è muro, ma che le cose più importanti sono “la consapevolezza” e la scelta di “vivere insieme” che viene compiuta. Una scelta che viene compiuta in un territorio da persone diverse che fanno insieme una storia, una scelta, un’esperienza, un cammino.

Così ho pensato che si parla molto di radici, meno del fatto che gli uomini hanno le gambe e i popoli fanno insieme un cammino, che non comporta timbri primordiali, ma quella scelta, compiuta nella consapevolezza. Dunque per connettersi al “popolo” non sembrano né utili né necessarie autoproclamatesi élite, o ali marcianti, ma l’acquisizione vera e profonda di un altro concetto, quello di “cittadinanza”. Essere cittadini non vuol dire avere antenati, ma sentirsi cittadini di un territorio ed essere riconosciuti come tali, non dei semplici abitanti. È quel che in Europa non si è stati capaci di fare: “Abitiamo in Europa, ha detto padre Spadaro, ma non ci sentiamo cittadini dell’Europa, cittadini europei”. Riferendosi a questo che definirei il vero “fallimento” europeo, il direttore de La Civiltà Cattolica  ha ricordato l’urgenza del cittadino, e quindi del ceto politico: connettersi, e sovente “riconnettersi”. Riconnettersi alla storia che è storia personale, storia collettiva, storia culturale, di un popolo ma anche di una tradizione che non vive di targhe, ma di collegamenti concreti con il sentire e con le problematiche popolari. Riconnettersi alle paure e alle angosce non vuol dire inchinarsi davanti ad esse, a mio avviso vuol dire soprattutto viverle, capirle, interpretarle, non strumentalizzarle. Riconnettersi a un sentire, a una fatica, magari anche ad un senso di smarrimento. E anche qui, pensando all’Italia, è venuto in aiuto il discorso sul “popolo” di Papa Francesco.

Rivolgendosi ai movimenti popolari Bergoglio parlò di “terra, casa, lavoro”, non di rifiuto delle infrastrutture o di indennità. La terra in quel discorso era la terra per i “campesinos”, ma  anche la cura di quella terra, del creato: “All’inizio della creazione,- disse il papa parlandone nel primo incontro – Dio creò l’uomo custode della sua opera, affidandogli l’incarico di coltivarla e di proteggerla. Vedo che qui ci sono decine di contadini e di contadine e voglio felicitarmi con loro perché custodiscono la terra, la coltivano e lo fanno in comunità. Mi preoccupa lo sradicamento di tanti fratelli contadini che soffrono per questo motivo e non per guerre o disastri naturali. L’accaparramento di terre, la deforestazione, l’appropriazione dell’acqua, i pesticidi inadeguati, sono alcuni dei mali che strappano l’uomo dalla sua terra natale. Questa dolorosa separazione non è solo fisica, ma anche esistenziale e spirituale, perché esiste una relazione con la terra che sta mettendo la comunità rurale e il suo peculiare stile di vita in palese decadenza e addirittura a rischio di estinzione”. La terra, dunque,  la casa, luogo irrinunciabile e innegabile della propria vita, della propria sicurezza, e il lavoro, cioè il proprio ruolo nella società, quella ci dà la soddisfazione del nostro contributo contraccambiato da un giusto salario corrisposto nel nome del vivere insieme.

A chi lo ascoltava padre Spadaro ha quindi a mio avviso ricordato la necessità di riconnettersi con le ansie, le paure, ma anche le speranze e le gioie, che poi sono gli auspici e le connessioni che vengono cercati o evocati in uno dei principali documenti del Concilio Vaticano II,  Gaudium et Spes, che comincia così: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”. E se questo è vero per “il popolo di Dio” dovrebbe essere vero anche per i popoli della terra, che dovrebbero vivere le gioie, le speranze, le tristezze, le angosce soprattutto dei poveri tra di loro. Riconnettersi con tutto questo vuol dire riconnettersi con un popolo, senza ritenersene l’ala marciante populista o leninista, ma standoci dentro, collegati. Questo discorso che alcuni non sanno più fare o farsi è quello che potrebbe servire a salvare da una fascinazione paurosa, quella del trovare identitariamente un capro espiatorio delle proprie pene.



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