Su uno dei siti dell’Anpi, l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani, all’inizio di quest’anno è stato pubblicato un articolo che comincia così: “Il razzismo fascista non fu ‘all’acqua di rose’. Le leggi razziali del fascismo furono una vergogna e una infamia imperdonabile. Quelle leggi, infatti, portarono alla morte migliaia di ebrei e provocarono sofferenze indicibili, paura, terrore, angoscia e miseria”. L’ottantesimo anniversario di questa “vergogna” non è stato oggetto di diffusissima riflessione, ricerca, memoria. Il grande convegno su “Chiesa, fascismo ed ebrei: la svolta del ‘38” segna dunque un momento alto e importante di riflessione.
Quando, nel 1938, furono varate le “leggi razziali” che colpirono gli ebrei italiani e che il professor Andrea Riccardi ha detto di non capire “perché ancora oggi non vengano chiamate leggi razziste”, quante posizioni c’erano nella Chiesa? La domanda, una delle più importanti, ha avuto nel corso del convegno organizzato dalla Dante Alighieri, una risposta importante e accurata, che potremmo riassumere così: ci fu una piccola schiera di cattolici che ebbe il coraggio di criticare pubblicamente, un ristretto drappello che applaudì; e in mezzo? In mezzo ci fu paura ad esporsi contro, ma anche tanta indifferenza… Aver richiamato l’attenzione su questa indifferenza è certamente uno dei meriti di questo convegno, che richiederebbero molto studio e riflessione.
L’inquadramento operato nella relazione d’apertura del professor Andrea Riccardi indica il percorso del fascismo. Per spiegarlo ha ricostruito la condotta fascista in Etiopia, non sufficientemente nota. Quella guerra, nel 1935 il cardinale Schuster la celebrò a Milano parlando di “guerra che reca il trionfo della croce di Cristo, spezza le catene, spiana le strade ai missionari del Vangelo… a prezzo di sangue apre le porte di Etiopia alla Fede cattolica e alla Civiltà romana”. Ha proseguito al riguardo il professor Riccardi: Nel 1937, quando si abbatté durissima la repressione ad Addis Abeba per l’attentato al viceré Graziani (circa 19.000 uccisi), un vero pogrom contro gli etiopi, non ci furono reazioni negative. In realtà, dalla guerra di Etiopia, anche per la propaganda fascista e la forte presenza del partito, si ha una crescita di aggressività nell’attitudine degli italiani specie in Africa. Un caso è impressionante: la strage nel più grande e sacro monastero etiope, Debra Libanos, a non molti chilometri da Addis Abeba. Scrive Angelo Del Boca: “Mai nella storia dell’Africa, una comunità religiosa aveva subito uno sterminio di tali proporzioni”. Furono uccise dalle truppe coloniali italiane – soprattutto di origine musulmana – ben 2000 persone tra monaci, novizi, diaconi, pellegrini, disabili, sotto la guida del generale Maletti e per ordine di Graziani, che se ne assunse la responsabilità, con una tecnica che ricorda le stragi naziste degli ebrei nell’Est Europa. I monaci e i cristiani etiopi non erano considerati cristiani, tanto da non meritare commenti dei missionari in loco né indignazione altrove. Una resistenza a ricordare il massacro si è palesata anche per gli ottant’anni, nel 2017, quando il ministero della Difesa fece cadere la proposta di una ricerca storica. È il tipico processo di disumanizzazione del nemico, operata non solo dall’assenza di senso ecumenico dei cristiani, ma dalla propaganda fascista che in quegli anni raggiunge un apice di violenza”. Il 1935-1937 non è stato rimosso dalla relazione del professor Riccardi, che arrivando al 1938 è partito ovviamente dal papa.
“In questo quadro, emergono diverse linee di preoccupazione in Vaticano, su cui spicca – ma non s’impone del tutto – quella di Pio XI, che nel tornante finale del pontificato, matura una posizione più ‘profetica’, per usare un’espressione impropria, che politica. E, per certi aspetti, questa posizione lascia fluttuare le cose in Vaticano. Il papa guarda il quadrante europeo. Il 1938 è un anno terribile per gli ebrei, non solo in Italia, ma per il pogrom in Germania nella notte tra il 9 e il 10 novembre e il diffondersi delle misure antisemite: in Polonia si ritira la cittadinanza agli espatriati da più di cinque anni (in gran parte ebrei), in Romania sono presi provvedimenti antisemiti sotto l’influenza del governo della Guardia di Ferro di Codreanu, come in Ungheria, nonostante il trionfale congresso eucaristico, cui aveva preso parte come legato pontificio il card. Pacelli”.
La ricostruzione è accurata e importante, il presidente della Cei, cardinale Bassetti, è appena andato via dopo essere intervenuto nonostante un’emergenza per attestare con la sua presenza il sostegno all’indagine chiara e onesta su anni bui, che lui ha voluto sostenere con la sua presenza non da storico, ma da pastore. Riccardi ha riassunto così la visione del papa Pio XI, che disse: “Per Cristo e in Cristo, noi siamo discendenza di Abramo. No, non è possibile ai cristiani partecipare all’antisemitismo. Noi riconosciamo a chiunque il diritto di difendersi, di utilizzare i mezzi per proteggersi contro tutto quanto minaccia i propri interessi legittimi. Ma l’antisemitismo è inammissibile. Noi siamo spiritualmente semiti”.
Il professor Riccardi procedendo nella sua ricostruzione ha parlato di “una produzione cattolica e antisemita, sul genere di Cristo e Quirino di Paolo Orano fino all’articolo di Farinacci Dio contro Jahvé, una volgarizzazione estrema. Se Orano non si spinse mai ad affermare che Gesù fosse ariano, ma nel 1937 dichiarò la non ebraicità di Gesù, in quanto “il Divin Fanciullo non è figliolanza di un uomo mortale, dunque non di un ebreo, ma dell’atto divino”. Del resto Mussolini aveva detto a Ciano nel 1938: “Basterebbe un mio cenno per scatenare tutto l’anticlericalismo di questo popolo, il quale ha dovuto faticare non poco a ingurgitare un Dio ebreo”. Non poteva non emergere l’antigiudaismo diffuso nel cattolicesimo di allora, tanto che Farinacci disse “se siamo antisemiti lo dobbiamo all’insegnamento della Chiesa”. Così il fondatore della Comunità di Sant’Egidio vede un “Pio XI non interessato a ribadire la coerenza con l’antigiudaismo storico. Lo sono altri cattolici, più permeabili all’antisemitismo fascista, almeno per evitare conflitti, come ‘La Civiltà Cattolica’, fino alle posizioni estreme di Angelo Brucculeri favorevole al ‘Manifesto sulla razza’, non condivise dagli scrittori della rivista. Gli antimodernisti sono antisemiti: nel 1921 mons. Benigni aveva pubblicato in italiano I Protocolli dei savi di Sion”.
Dunque per lo storico del cristianesimo il punto, oggi di nuovo importantissimo, è quello del nazionalcattolicesimo, e infatti sottolinea con visione non solo da storico: “Pio XI mi sembra guardare a un grand dessein al di là del quotidiano e dell’Italia, convinto che la partita è appena all’inizio tra quello che chiama il ‘nazionalismo eccessivo’, con il suo seguito di razzismo, odio e antisemitismo, e la visione dell’unità del genere umano che il cattolicesimo propone (‘una sola grande famiglia universale umana’, diceva). È la smentita del nazionalcattolicesimo: il primato della nazione sul cattolicesimo e l’universalismo. C’erano rischi in questo senso nell’Ungheria del reggente Horthy e del primate card. Séredi (che aveva votato alla Camera alta le leggi antisemite, ma avrebbe accolto gli ebrei polacchi e si sarebbe misurato con i nazisti); o nel neocattolicesimo fascista in Italia; o nella Spagna di Franco o nel Portogallo di Salazar o nella Slovacchia di mons. Tiso; o in Polonia, specie dopo la morte del maresciallo Pilsuski, amico degli ebrei, e alla presenza di un primate abbastanza antisemita come il card. Hlond (che ebbe espressioni severe verso gli ebrei anche dopo la seconda guerra mondiale). C’erano poi i cattolici tradizionali francesi, gli eredi dell’Action Française…”.
Riccardi è convinto che “un’immagine della Chiesa monolite ha oscurato una realtà complessa e diversificata che lo storico scopre, anche se il monolite è comodo a una storiografia superficiale, giustiziera o apologetica. Un papa autorevole, definito autoritario, come Pio XI, si trova di fronte un panorama in cui i segmenti del cattolicesimo conoscono l’attrazione dei processi nazionali. La sua scelta, negli ultimi anni Trenta, è un messaggio forte sul nazionalismo e l’antisemitismo, definiti nuovi idoli della modernità con il comunismo, tesa a bloccare la fascinazione di queste dottrine sui cattolici. Il problema è evitare il conflitto, non isolare gli ebrei, scongiurare il fatto che le Chiese cattoliche assumano atteggiamenti che egli considera un vulnus alla loro identità. Quello che lo angoscia gli ultimi mesi di vita, la sua ultima battaglia com’è stata definita, non è tanto il vulnus al concordato, ma all’identità cattolica, che si voleva desemitizzare, trasformandola in un culto dai tratti nazionali, teutonico in Germania, latino imperiale in Italia. Qui anche l’affermazione del primato della romanità cattolico su quella fascista”.