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Rimandati a gennaio

E così, la reiterata richiesta da parte di Salvini e Di Maio di ricevere una bocciatura sui conti del paese è stata finalmente accolta. Ed apre la strada ad una procedura d’infrazione per deficit eccessivo che potrebbe arrivare a costarci qualche decina di miliardi di euro, se entro gennaio non porremo rimedio… Alla faccia delle politiche espansive.

Ma Salvini e Di Maio hanno raggiunto il loro obiettivo: addossare alle istituzioni di Bruxelles le responsabilità della inevitabile austerità che prima o poi arriverà, in misura molto più cruda di quanto sia stato finora. E raccogliere così ulteriore consenso da un elettorato che fatica non solo a capire, ma anche semplicemente ad essere informato su che cosa davvero sia una manovra, un debito pubblico, uno spread, una procedura d’infrazione, etc. Se non ovviamente dai social media (ma anche con la connivenza delle televisioni, pubbliche e private, che danno rilevanza a personaggi di oscura formazione, tutti sedicenti economisti, che confondono le acque a ritmi sempre più forsennati).

Eppure sarebbe bastato poco a far retrocedere l’Unione Europea dallo scontro aperto con l’Italia; bastava spendere per manovre orientate alla crescita ed all’occupazione, invece che all’assistenzialismo improduttivo; oppure inserire un dato meno irrealistico sull’andamento futuro del Pil, magari un 1% (che nell’attuale congiuntura internazionale, oltre che considerando le crepe di un sistema paese al collasso sociale e produttivo, suona già come un’enormità). Ma naturalmente i conti non sarebbero più tornati; e qualcuno avrebbe dovuto rinunciare a sbandierare il raggiungimento di “risultati storici”, confezionati solo per darli in pasto ad elettori allo stremo, disperatamente affamati di buone notizie.

Dovrebbero inserire nel codice penale un crimine di “sfruttamento della disperazione”.

Uno sfruttamento, sia chiaro, dal quale non si salva (quasi) nessuno dei politici finora avvicendatisi alla guida del paese. Perché sono trent’anni che i cittadini italiani si sentono ripetere che i sacrifici dobbiamo farli in nome e per conto dell’Europa. E allora non c’è da stupirsi se oggi il “popolo” italiano è così insofferente verso le istituzioni di Bruxelles.

Nessun governo ha mai spiegato ai cittadini che gli errori sono tutti nostri, anzi, della nostra classe politica, dei nostri governanti di turno; che sono stati gli sprechi elettorali ad aver neutralizzato il “dividendo dell’euro” (la diminuzione del costo del debito pubblico dovuta alla riduzione dei tassi d’interesse conseguente all’ingresso nel percorso verso la moneta unica) negli anni Novanta e nei primi anni del nuovo millennio; che la diminuzione del potere d’acquisto dal 2002 in poi (quando cioè l’euro entra nelle nostre tasche, anche se esisteva già da quasi tre anni) è dipesa da chi ha abolito gli organi di controllo sui prezzi già previsti dalla Commissione Europea e da uno shock petrolifero di dimensioni eccezionali (da 18 a 144 dollari al barile fra il 2001 e il 2008) che la rivalutazione dell’euro contro il dollaro ha semmai arginato(!), riducendone l’impatto sulla società e l’economia europea.

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Eppure basterebbe poco per comprendere che il problema dell’Italia è (quasi) tutto nostro. Basterebbe dare un’occhiata al grafico più sopra per capire che nel nostro paese esiste un problema specifico, che non ha nulla a che vedere con il resto della zona euro; e che quindi non c’entra nulla con la moneta unica e ben poco con Bruxelles.

Ma per capire davvero bisogna volerlo. E oggi non mi pare di vedere in giro molte persone che vogliono capire. Più facile credere a qualche bella favola… almeno fino a quando la realtà, in tutta la sua drammaticità, non si riapproprierà della scena.


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