Aumentare l’attività dei servizi segreti sul fronte dell’intelligence economica a protezione delle aziende italiane, investire sulla cyber security, aumentare la presenza degli operativi nelle zone estere di maggiore interesse per l’Italia. È l’analisi di Giacomo Stucchi (Lega), ex presidente del Copasir nella scorsa legislatura e oggi consigliere per la sicurezza del presidente della Regione Lombardia, all’indomani della nomina dei generali della Guardia di Finanza Gennaro Vecchione al Dis e Luciano Carta all’Aise.
La scelta di due generali delle Fiamme gialle significa anche voler prestare maggiore attenzione all’intelligence economica?
Può essere una lettura, oltre al terrorismo internazionale l’intelligence economica è un target fondamentale. Se n’è parlato per tanti anni e, pur avendo iniziato un percorso, adesso occorre una velocità più sostenuta.
Cioè serve intervenire con più decisione nella protezione degli interessi nazionali rappresentati da determinate aziende?
Sicuramente la protezione da interessi stranieri di aziende che sono rimaste in Italia e che rappresentano dei punti di riferimento fondamentali di cui non possiamo assolutamente privarci è una delle questioni che sta più a cuore al governo. Per fortuna abbiamo ancora molto da tutelare nella filiera produttiva.
Tutelare significa rinforzare le difese da attacchi esterni o anche recuperare posizioni perse?
Entrambe le cose, l’obiettivo minimo è mantenere quello che abbiamo e poi cercare di recuperare posizioni: non uno 0,1 in meno di quello che c’è oggi, ma anzi qualcosa in più.
Sul fronte della cyber security e della cyber defense i finanziamenti sono sufficienti?
È uno dei campi in cui servono finanziamenti continui e molto onerosi, sappiamo benissimo che, una volta investite, determinate somme consentono una risposta nel momento in cui ti devi difendere da attacchi che sono limitati nel tempo. Ecco perché occorre continuare a investire in questa battaglia.
La politica è cosciente del problema o è solo questione di soldi?
C’è la consapevolezza di dover intervenire ulteriormente, ma anche la consapevolezza di gestire al meglio le risorse sapendo che ci sono tante priorità e sensibilità diverse. La cyber e il terrorismo internazionale sono due questioni fondamentali: sul terrorismo c’è più attenzione mediatica, eppure la sicurezza cibernetica ha ripercussioni sull’economia ed è fondamentale per la tenuta del sistema economico italiano.
La prevenzione interna è ottimale come dimostrano gli ultimi arresti, serve invece una maggiore presenza di agenti all’estero?
Serve concentrarla nelle aree di interesse a noi più vicine dove ci possono essere problemi, dove ci sono interessi aziendali o grandi comunità di italiani. Non possiamo pensare di coprire tutto.
Ma è necessario aumentare gli organici all’estero?
Ogni risorsa aggiuntiva nel comparto intelligence è una conquista importante, a prescindere che venga utilizzata dalle Agenzie o dal Dis. Riguardo all’estero, sicuramente negli ultimi anni c’è stato un calo degli organici: non dico di tornare ai livelli del 2008, ma bisogna fare qualcosa in più per invertire il trend in modo rilevante.
Dopo la conferenza di Palermo come vede la situazione libica?
Vedremo i risultati nella prossima primavera, ci sono passaggi fondamentali come le elezioni che sono degli snodi cruciali per il futuro. Checché se ne dica, la conferenza di Palermo è stata un tentativo riuscito di riprendere il filo del dialogo tra fazioni che non si parlano, non è stato un appuntamento negativo com’è stato dipinto, ma un tentativo che andava fatto. Se qualcuno pensava a un risultato immediato era un illuso, mentre sono state poste le basi per un risultato futuro.
Allargando a Maghreb e Medio Oriente, la collaborazione tra intelligence funziona?
Va sempre migliorata, anche come velocità di scambio perché se una notizia arriva con un minuto di ritardo non serve più. In quei Paesi c’è la consapevolezza di dover collaborare strettamente con l’Occidente e lo stanno dimostrando pur con i loro limiti: si tratta di intelligence non strutturate dove i capi cambiano senza che si capisca il perché.
La lotta al finanziamento del terrorismo è un altro tema centrale: si sono fatti passi in avanti?
Anche su questo la scelta di due finanzieri aiuterà. Una buona iniziativa è stata l’istituzione del Gift, il Gruppo investigativo sul finanziamento al terrorismo che il comandante della Guardia di Finanza, generale Giorgio Toschi, decise subito dopo il suo insediamento. Funziona bene anche in coordinamento con l’apposito ufficio della Banca d’Italia. Credo che in Italia ci sia la possibilità del tracciamento di un eventuale flusso di denaro ai terroristi: l’hanno capito altre intelligence occidentali anche se dopo gli attentati che li hanno colpiti. In certi casi il denaro non è tracciabile, basti pensare all’hawala (il sistema di trasferimento basato sull’onore dei mediatori, ndr). Allora, dove non arriva la tecnologia deve arrivare l’uomo. La Humint è fondamentale.