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L’Italia non può permettersi di dire no all’Europa. L’ammissione (in Senato) di Tria

Su una cosa si può essere tutti d’accordo. Il giorno della verità sui conti pubblici italiani sta per arrivare, nel bene o nel male. Tra 20-25 giorni al massimo la manovra sarà approvata da Camera e Senato e allora si capirà se l’Italia ha alla fine davvero ceduto all’Europa, come sembra che sia. Ci sono almeno due indizi che portano a questa conclusione, quella del sì a Bruxelles. Il primo è una semplice indiscrezione riportata questa mattina dalla testata tedesca Handelsblatt, che però non è poca cosa. Bruxelles sta valutando l’idea di un deposito cauzionale pari allo 0,2% della capacità produttiva italiana da versare subito, che sarà restituito se Roma tornerà a un bilancio di austerità, cioè dentro quegli stessi parametri che l’attuale legge di Bilancio sfora. Se non dovesse accadere, la Commissione potrebbe cancellare gli interessi e, in ultima analisi, trasformare il deposito in una sanzione. Se fosse tutto vero, vuol dire che la tanto temuta procedura di infrazione non solo è stata messa in moto ma addirittura accelerata. Insomma, fanno sul serio.

Il secondo indizio è quello arrivato questa mattina dal Senato, dove è intervenuto il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Se l’Europa dovesse tirare dritta per la sua strada, il governo si ritroverebbe pressoché obbligato a smontare la ex finanziaria (qui il commento ieri su Formiche.net di Leonardo Becchetti), non c’è altra via d’uscita. Per ammissione dello stesso responsabile di Via XX settembre: l’attenzione sui rischi di uno strappo definitivo con l’Ue è molto alta nel governo. “Se confermata dall’Ecofin l’opinione della commissione europea sulla manovra italiana apre alla prospettiva di una procedura di infrazione sul debito, una prospettiva che pone il governo e il Parlamento sovrano di fronte alla necessità di assumere una decisione di forte responsabilità e di attuare una operazione di verità”, ha spiegato Tria.

Il professore di Tor Vergata è stato se possibile ancora più chiaro: o il governo trova l’accordo con l’Europa o l’intera filosofia espansiva della manovra non servirà a un bel niente, finendo vanificata. “Dobbiamo tenere conto dell’incerto contesto economico in cui ci troviamo e dell’alto livello dello spread per questo si deve puntare da una parte a rafforzare le misure di rilancio dell’economia e dall’altro ad una maggiore prudenza di spesa: un dilemma che richiede un serio bilanciamento delle politiche perché divergere dalle regole europee avrebbe ulteriori effetti negativi sulla crescita e sulla politica espansiva, facendo aumentare il costo di finanziamento del debito”. La revisione della quota 100, con l’aggiunta di un filtro alle uscite anticipate dal lavoro e il reddito di cittadinanza posticipato ad aprile e con una platea ridotta, potrebbero insomma non bastare a disinnescare la bomba.

Lo stesso ministro avrebbe in più occasioni, nei giorni scorsi, tentato di convincere Matteo Salvini e Luigi Di Maio a proporre al commissario agli Affari Europei, Pierre Moscovici, l’uomo incaricato di gestire il dossier Italia, un deficit al 2% che forse all’Europa potrebbe anche bastare. Ma senza per ora ottenere le sufficienti sponde. Nel mentre Tria non può far altro che cercare di annacquare ancora un po’ le misure cardine della manovra, reddito di cittadinanza e pensioni in primis. Anche in questo caso è stato egli stesso ad ammetterlo.

“Stiamo attentamente valutando, man mano che va avanti il disegno delle misure fondamentali, i loro costi effettivi, se si possano cioè trovare gli spazi finanziari per migliorare l’equilibrio tra la crescita e il consolidamento dei conti pubblici”, ha aggiunto nell’Aula di Palazzo Madama. Anche perché, c’è una domanda di fondo. Per quanto tempo ancora gli investitori europei e non potranno continuare a finanziare il debito di un Paese che per la prima volta nella storia dell’Ue infrange le regole del Patto di Stabilità? Oggi l’asta Bot è andata bene visto che il Tesoro ha collocato tutti i 6,5 miliardi di euro di Bot sei mesi con scadenza 31 maggio 2019, con un rendimento dello 0,163%, in lieve rialzo rispetto allo 0,159% dell’asta di fine ottobre. A gennaio però ci sono da collocare 51 miliardi in un mese.

 


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