Lo scandalo Danske Bank approda nei tribunali. L’indagine sul maxi-riciclaggio del principale istituto di credito danese, accusato di aver fatto transitare più di 200 miliardi di euro provenienti principalmente da Russia e Azerbaijan tra il 2007 e il 2015 su 15mila conti stranieri nella sua filiale estone, è divenuta ufficialmente un’inchiesta giudiziaria dopo che il procuratore generale della Danimarca Morten Niels Jakobsen ha presentato le accuse preliminari per violazione delle leggi antiriciclaggio. In particolare, il pubblico ministero contesta alla banca danese di non aver applicato controlli sulle transazioni dei clienti terzi sui conti della banca corrispondente a Tallin, di non conoscerne adeguatamente i portafogli, di non aver determinato se avessero o meno lo status di persone politicamente esposte. Per più di sette anni nella filiale estone, ha ricordato Il Sole 24 Ore, una quantità di denaro venti volte più grande del Pil del Paese baltico usciva ed entrava dalle casse della banca per poi finire in conti offshore a Panama, a Belize o alle Seychelles.
IL CONTRACCOLPO IN DANIMARCA
Il caso, emerso grazie alla testimonianza del whistleblower inglese Howard Wilkinson, a capo del trading della filiale estone dal 2007 al 2014, ha avuto un enorme impatto mediatico in Danimarca. Da quando sono partite ad agosto le indagini sono costate le dimissioni (lo scorso settembre) al ceo di Danske Bank Thomas Borgen, oltre a una multa di 4,5 miliardi di dollari (30 miliardi di corone) agli investitori. Sempre a settembre il Parlamento danese ha avviato la discussione per una nuova legge contro il riciclaggio. Ma il caso è già arrivato al Parlamento europeo, che sulla scia della Camera danese ascolterà presto la testimonianza di Wilkinson. “Non c’è dubbio che alcune di queste banche europee siano cresciute troppo, nel senso che hanno concentrato troppi rischi in una sola entità” spiega a Formiche.net l’europarlamentare conservatore Anders Vistisen, vicepresidente della commissione Affari Esteri. “In Danimarca stiamo cercando di far passare una legge che deleghi l’attività di Danske Bank all’estero a più filiali perché abbiano una più diretta responsabilità. Questo è il problema alla radice della corruzione, c’è stata troppa confusione fra le autorità estoni e quelle danesi”. “Un problema tutto danese” – continua Vistisen – è stata la mancanza di un’adeguata sorveglianza del settore bancario, bisogna dare più poteri e risorse alle autorità indipendenti”. L’iter parlamentare danese è iniziato, non senza qualche intoppo, racconta ai nostri microfoni il deputato socialdemocratico Benny Engelbrecht, vicepresidente della Commissione Finanze del Parlamento: “La nuova legge contro il riciclaggio al momento è ferma alla commissione Bilancio, non si riesce a trovare un accordo ampio sulle misure punitive per chi sbaglia, credo che ne verremo a capo a inizio 2019”. Il caso Danske Bank, aggiunge il deputato, ha scoperchiato un ben più vasto sistema di riciclaggio bancario: “Il riciclaggio è un morbo che affligge il sistema bancario europeo e a quanto pare anche quello americano, visto che nei fascicoli di indagine ci sono anche Deutsche Bank e Jp Morgan. È un dossier di cui si deve occupare anzitutto l’Ue con la Commissione, l’Europarlamento e il Comitato speciale per le banche. Sono felice che una mela marcia abbia sollevato il caso, tutto sommato si può fare un paragone con lo scandalo Volkswagen che ha truccato le emissioni diesel, squarciando il velo su un vasto sistema di truffe nel mondo dell’automotive”.
NON SOLO DANSKE BANK
In effetti dalle indagini preliminari il caso Danske Bank sembra solo la punta dell’iceberg. Deutsche Bank, il gigante creditizio tedesco che già è stato multato per 530 milioni di euro dalle autorità inglesi e statunitensi per il riciclaggio di 8,85 miliardi di clienti russi, è finito ora nel mirino del procuratore danese per aver gestito fino al 2015 pagamenti in Estonia per conto di Danske Bank. Assieme alle americane Jp Morgan e American Bank, scrive Nicola Borzi sul Fatto Quotidiano, Deutsche Bank è finita anche sotto la lente del dipartimento della Giustizia Usa. I procuratori americani, con cui sta collaborando l’informatore Wilkinson, indagano in particolare sul coinvolgimento delle tre banche in un ramo del riciclaggio da 2,75 miliardi di dollari che passava per Londra ed è stato ribattezzato “lavanderia azerbaijana”.
IL RAID A DEUTSCHE BANK
I guai non finiscono qui per la banca tedesca. Questo giovedì 170 fra agenti e inquirenti hanno fatto un blitz nel quartier generale a Francoforte così come nelle succursali di Gross-Umstadt e Eschborn. La portavoce dei procuratori tedeschi Nadja Niesen ha spiegato che le indagini vertono in particolare su due dipendenti di Deutsche Bank di 50 e 46 anni che avrebbero aiutato più di 900 clienti ad aprire conti off shore per riciclare un totale di 311 milioni di euro in una compagnia nelle Virgin Islands. La notizia del blitz ha fatto crollare il titolo alla borsa di Francoforte del 3,75% e ha costretto la banca tedesca a correre ai ripari su twitter, annunciando che l’indagine si inserisce nel caso dei Panama Papers e di esser pronta a cooperare con le autorità.
I WHISTLEBLOWER E LA PISTA RUSSA
Se da una parte lo scandalo Danske Bank ha acceso i riflettori sulla rete di riciclaggio di diversi istituti europei e americani, dall’altra ha posto l’accento sul ruolo dei cosiddetti whistleblower, termine con cui viene indicata una persona che, lavorando all’interno di un’organizzazione, di un’azienda pubblica o privata si trova ad essere testimone di un comportamento irregolare o illegale e decide di segnalarlo alle autorità. Senza l’informatore Wilkinson i procuratori danesi non avrebbero scoperto il flusso miliardario di denaro riciclato in Estonia. “Se informi le autorità di attività criminali non puoi temere di essere perseguito dalle autorità giudiziarie. Dall’audizione di Wilkinson al Parlamento è emerso che spesso ci sono contratti che vincolano a non parlare di determinate attività della banca, il legislatore deve intervenire per difendere queste persone” chiosa l’europarlamentare Vistisen.
Secondo un rapporto trafugato da Danske Bank e pubblicato dal giornale Berlingske, fra i beneficiari del giro di denaro riciclato sarebbero figurati anche agenti del Fsb, il servizio segreto russo. E qui arriva il punto: ad oggi l’ondata di riciclaggio nel Paese baltico è costata la vita ad almeno 3 informatori russi. Andrei Kozlov, ex vicepresidente della Banca centrale russa che nel 2006 era volato in Estonia per indagare su sospette operazioni di riciclaggio, freddato tre mesi dopo da tre killer. Alexander Perepilichnyy, informatore della banca estone morto in circostanze poco chiare nel 2010 in Gran Bretagna. E infine Sergei Magnitsky, avvocato russo morto nel 2009 mentre era in carcere a Mosca dopo aver indagato sulla scomparsa di 200 milioni di dollari dal fondo Hermitage capital management.