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Strasburgo e la prevenzione. L’appello di Manciulli per un antiterrorismo bipartisan

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“L’attentatore di Strasburgo conferma il fenomeno del delinquente comune che si radicalizza, magari in carcere, e che in questo caso addirittura faceva parte di una famiglia radicalizzata. In generale, però, nella lotta al terrorismo islamista il vero problema è rappresentato dai simpatizzanti che si eccitano sul web senza poter sapere quando passeranno all’azione”. Andrea Manciulli, uno dei più esperti in materia di terrorismo e nella scorsa legislatura presidente della delegazione italiana all’assemblea della Nato dov’è stato direttore del rapporto sul terrorismo jihadista, ribadisce l’urgenza di una normativa che migliori la prevenzione in Italia puntando sulla deradicalizzazione. Su questo rivolge un appello al governo: “L’antiterrorismo riguarda l’interesse nazionale, non la lotta politica”.

Anche se dopo un lungo periodo di calma, probabilmente l’attentato di Strasburgo non l’ha sorpresa.

Purtroppo non mi ha sorpreso perché nelle ultime settimane c’erano state molte minacce via web rivolte alla Francia. Con la sconfitta militare dello Stato islamico sta pullulando sul web una voglia di vendetta che anima il popolo del jihadismo mediatico.

Quindi siamo coinvolti in una guerra quasi esclusivamente via web?

Il jihad mediatico ha creato una forma di lievito che agisce su vari fronti. Verso la Francia recentemente ci sono stati anche inviti specifici a passare all’azione. Negli ultimi mesi si è parlato frettolosamente della diminuzione della minaccia perché c’era silenzio, ma chiunque conosce il jihadismo sa che i grandi momenti di silenzio sono quelli della riorganizzazione. Non è una sfida finita, è mutata ma non è finita.

Cherif Chekatt, l’attentatore di Strasburgo, sembra avere caratteristiche diverse da altri terroristi che hanno agito da soli.

Innanzitutto è una persona che aveva precedenti di altra origine, uno dei casi in cui una vita dedicata ad altre forme di delinquenza si incrocia con la radicalizzazione, fenomeno che sta diventando ricorrente. È stato più volte in carcere, luogo di radicalizzazione, e infatti tutti i Paesi si stanno ponendo questo tipo di problema. In alcune periferie francesi, nel nord di Parigi e non solo, è estremamente elevato il numero di delinquenti comuni che si radicalizzano.

Che cos’altro lo differenzia?

Chekatt era in un contesto familiare di radicalizzazione, tanto che erano tenuti sotto controllo altri membri della sua famiglia. (Sono stati fermati il padre e due fratelli, ndr). È presto per parlare di cellula, bisogna prima capire l’origine dell’esplosivo trovato nella sua abitazione e non solo le autorità francesi, ma tutte quelle europee, devono capire se ci sono o ci sono stati contatti con altri soggetti in Francia o in altre nazioni. Non è il radicalizzato che passa all’atto in modo imprevedibile, si tratta di un soggetto conosciuto che non era arrivato al punto da giustificare misure cautelari legate al jihadismo. (Nella riunione d’emergenza del Casa, il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, al Viminale sono stati esclusi al momento collegamenti di Chekatt con l’Italia, ndr).

L’indebolimento dell’Isis potrebbe rendere più difficile l’attivazione di una cellula organizzata come quelle viste all’opera per esempio a Parigi. Il nemico si presenta con forme sempre diverse?

Avremo a che fare con organizzazioni molto strutturate come le cellule; con altre abbastanza strutturate come quelle persone che si organizzano bene, ma individualmente; infine con i simpatizzanti che sono il vero problema perché non si sa quando passeranno all’azione. Quest’ultimo aspetto è stato estremamente aumentato dal web e dalla guerra mediatica.

Come affrontare tipologie così diverse?

Nel rapporto sul terrorismo jihadista alla Nato definimmo la teoria degli spazi vuoti geopolitici, l’espansione del qaedismo e del Califfato è avvenuta negli Stati falliti e con le guerre civili: basti pensare a Somalia, Sudan, Libia, Sahel, Siria, Iraq. Poi ci sono gli spazi vuoti culturali, identitari, sociali che hanno una loro valenza e che sono all’interno delle società democratiche. Ecco perché è fondamentale il tema delle grandi periferie. Non ci può sorprendere che ci siano zone con un’intensità di jihadismo impressionante. Alla periferia nord di Parigi si trovano scritte sui muri inneggianti all’Isis, alla “patria Daesh”. Esiste un insopprimibile fenomeno di simpatia: quando a Molenbeek fu arrestato Salah Abdeslam, l’autore degli attacchi di Parigi, la gente inveì contro le forze dell’ordine dando l’idea degli “spazi vuoti”. Il covo di Saint Denis degli attentatori del Bataclan era difeso dall’omertà dei vicini.

Anche gli ultimi arresti e le indagini in Italia confermano il pericolo dei simpatizzanti e torna costantemente il tema della deradicalizzazione.

È sempre più evidente che non basta la repressione. Nella scorsa legislatura sono stato il relatore del decreto antiterrorismo del 2015, uno strumento repressivo e moderno che ha dato grandi frutti. Lo rivendico sottolineando il lavoro straordinario delle forze dell’ordine, dei servizi segreti e della magistratura. Lavorando con gli investigatori a quelle norme ci rendemmo conto che mancava la parte preventiva: il 70 per cento degli attentati degli ultimi anni è stato fatto da chi si è radicalizzato velocemente in modo individuale, dunque bisogna prevenire e non aspettare che si compia il reato.

Con Stefano Dambruoso lei fu l’autore della legge sul contrasto preventivo alla radicalizzazione approvata alla Camera, ma non al Senato prima dello scioglimento del Parlamento. Forse è il momento di riparlarne.

Rivolgo un appello al governo. L’antiterrorismo è un tema di interesse nazionale, riguarda la sicurezza nazionale e non la lotta politica. La prevenzione serve, il governo riprenda quella legge e la migliori come vuole, ma dotiamoci di uno strumento preventivo perché una delle minacce più importanti è l’evoluzione di questo mondo di simpatizzanti anche in Italia. Si sono molto abbassate l’età e la cultura islamizzata, i giovani risentono di una moda mediatica più che di un percorso vero di radicalizzazione e per questo bisogna cominciare dalle scuole e dai luoghi di aggregazione. C’è infine un altro tema: la vicenda di Strasburgo dimostra che sta cambiando la percezione della sicurezza. L’attacco al mercatino di Natale, la morte di persone inermi, il Comune che invita a chiudersi in casa e un terrorista in fuga aumentano l’onda di insicurezza e creano più danni di un evento convenzionale. Tutto questo deve farci porre il problema di come si tutela anche la percezione di sicurezza dei cittadini, un tema complesso che sarebbe giusto analizzare a fondo.



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