L’attentato di Strasburgo ci ha riportati alla realtà, a dispetto del lungo periodo di calma sul fronte degli attacchi in Europa e di intensa attività di indagine e prevenzione, almeno in Italia. L’ultimo e non banale esempio è l’arresto del cittadino somalo fermato dalla Digos di Bari per pericolo di fuga e forse in procinto di passare all’azione: era controllato da tempo. In molte parti del mondo che interessano l’Italia e l’Europa, invece, l’attività dei gruppi jihadisti affiliati all’Isis o ad al Qaeda cresce aumentando l’instabilità di determinate aree con conseguenze sull’Occidente sia sul fronte dei foreign fighter che della propaganda mediatica.
CALANO I MORTI, CRESCONO LE TENSIONI
Il recentissimo Global Terrorist Index 2018, curato dall’Institute for Economics & Peace di Sydney in collaborazione con il consorzio Start per gli studi sul terrorismo dell’Università del Maryland, fornisce molti dati interessanti fino al 2017. Le difficoltà operative dell’Isis dopo i colpi subiti in Siria e Iraq si sono tradotte l’anno scorso in un calo generale del 27 per cento delle vittime rispetto al 2016 e in particolare del 75 per cento in Europa, così come l’anno scorso è fallito il 20 per cento degli attentati organizzati dall’Isis rispetto al 12 per cento del 2014. Dal 2015 al 2017 l’Isis ha perso il 60 per cento del territorio e l’80 per cento delle entrate, scese da 81 a 12 milioni di dollari al mese. Una stima del settembre 2018 indica che lo Stato islamico oggi controlla solo l’1 per cento del territorio iniziale. Le fredde cifre nascondono in parte una realtà che è quella potenzialmente più preoccupante: aree sempre più vaste prive di controllo e Stati deboli nei cui territori proliferano gruppi terroristi affiliati all’Isis o ad al Qaeda.
OLTRE 9MILA TERRORISTI NEL MAGHREB E SAHEL
Per restare alle aree mediorientale e africana di maggiore interesse per l’Italia, il report indica l’Egitto e la Somalia come le due regioni con il maggiore aumento di morti per terrorismo, rispettivamente con il 123 e il 93 per cento in più: l’Islamic State Sinai Province l’anno scorso ha ucciso in Egitto 311 persone e al Shabaab 587 in Somalia. Nel complesso, il Global Index conferma che la conseguenza della sconfitta militare in Siria e Iraq, anche se non completa, ha comportato un’intensificazione dell’attività terroristica in altre regioni: nel marzo scorso, per esempio, nel Maghreb e nel Sahel si contavano più di 9mila terroristi aderenti in gran parte ad al Qaeda e concentrati soprattutto in Libia e Algeria.
IL CRIMINALE CHE DIVENTA FOREIGN FIGHTER
Nell’Europa occidentale il reclutamento è più facile tra coloro che hanno precedenti penali e si stima che tra il 40 e il 60 per cento dei foreign fighter abbia appunto un passato criminale. Sugli oltre 40mila combattenti stranieri partiti verso Iraq e Siria dal 2013, la maggior parte dei quali morta in combattimento, il report considera possibile un aumento dei ritorni nei prossimi mesi in aggiunta ai 7mila che sarebbero già tornati. Secondo il Consiglio di sicurezza dell’Onu il 18 per cento degli attentati effettuati in Occidente tra il 2014 e il 2017 è stato opera di combattenti tornati a casa. Tra di essi, 3mila sono tornati nell’area Medio Oriente-Nord Africa e altrettanti in Europa.
MIGLIAIA DI VITTIME
È scontato che un attentato come quello di Strasburgo colpisca il cittadino occidentale molto più di quanto avviene in aree lontane geograficamente anche se da lì arrivano potenziali pericoli. Qualche cifra aiuta a capire il fenomeno in atto e come il tema della prevenzione, della politica estera e della collaborazione internazionale sui temi di difesa e sicurezza sia centrale: nonostante un calo complessivo, l’anno scorso in Afghanistan sono morte 4.653 persone, una sessantina in più del 2016; in Iraq 4.271 (meno della metà); in Nigeria e Somalia circa 1.500; in Siria circa 1.100, la metà del 2016. Sono numeri che riguardano anche l’Occidente. Riguardo all’Afghanistan, dove l’Italia è presente con un contingente nella missione Resolute Support, i talebani sono responsabili del 76 per cento delle vittime e l’Isis-Khorasan (il gruppo affiliato al Califfato) lo è del 14 per cento, in netta crescita rispetto all’anno precedente. L’Afghanistan, di cui i talebani controllano l’11 per cento e ne contendono un altro 29 per cento, è stato il Paese con il maggior numero di morti per terrorismo l’anno scorso e questo dovrebbe spiegare l’importanza dell’impegno occidentale.
STRASBURGO PUNTA DELL’ICEBERG
La città francese ha avuto il triste primato di finire sui media di tutto il mondo dopo un lungo periodo di “inattività” dei jihadisti. L’Isis e i gruppi affiliati l’anno scorso erano attivi in 25 Paesi rispetto ai 14 del 2014; al Shabaab ha colpito non solo in Somalia, ma anche in Kenya, Etiopia e Uganda; Boko Haram è un serio problema della Nigeria dove rischia di essere superato da un altro gruppo, Fulani; Isis, talebani, al Shabaab e Boko Haram l’anno scorso hanno ucciso complessivamente 10.632 persone. Sono numeri da tenere a mente sapendo che con le festività natalizie la prevenzione sarà ancora maggiore. La guardia resta alta grazie anche alla collaborazione tra forze di polizia e agenzie di intelligence, “cosa di cui andiamo fieri”, come ha ricordato il capo della Polizia, Franco Gabrielli. La minaccia c’è, ma bisogna continuare a vivere normalmente. Nonostante Strasburgo.