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Per la governance farmaceutica non si può puntare solo al risparmio. Parla Mandelli (Fofi)

Mandelli Governance farmaceutica

All’indomani dalla pubblicazione del Documento in materia di governance farmaceutica, presentato dal ministro della Salute Giulia Grillo, ci sono state numerose reazioni delle parti coinvolte. Il documento tocca i temi del  Prontuario farmaceutico nazionale (PFN), i medicinali equivalenti, biologici e biosimilari fino al ruolo dell’Aifa, il meccanismo prezzo-volume e il payback farmaceutico, per citarne solo alcuni. Formiche.net ne ha parlato con Andrea Mandelli, presidente della Federazione ordini farmacisti italiani (Fofi) per cercare di capirne di più.

Lei ha parlato spesso dell’importanza della sostenibilità del Sistema sanitario nazionale. Crede che le misure predisposte dal Documento in materia di governance farmaceutica possano intervenire in tal senso? Quali i punti interessanti e quali, invece, i più critici?

Prima di tutto va riconosciuto al ministero della Salute e ad Aifa l’impegno per una proposta di riassetto complessivo della governance del farmaco. Erano anni che la filiera attendeva una revisione organica delle varie problematiche sul tappeto e il documento presentato nei giorni scorsi suggerisce alcune soluzioni che richiedono ovviamente un approfondimento e un confronto con le diverse componenti della filiera che non è ancora stato avviato. Alcune soluzioni prospettate, del resto, sono già avviate da tempo, tra cui l’incentivazione degli equivalenti e dei biosimilari. Altre erano attese come quella sul payback, che ha senz’altro bisogno di un tagliando a dieci anni dalla sua introduzione, come è senz’altro condivisibile la proposta di un coinvolgimento più attivo dei pazienti nelle politiche del farmaco. Su altre proposte, sarebbe giusto approfondire. A partire dai risparmi ventilati che, se realizzati, devono restare nel settore che già oggi, checché si dica, presenta valori di spesa assolutamente in media, se non inferiori, agli altri partner europei.
Un altro punto da discutere e da valutare con attenzione è quello della distribuzione diretta dei farmaci in ospedale o nelle Asl. Il criterio non può essere solo quello del risparmio (tutto da dimostrare) perché quanto in più o in meno venga a costare il farmaco con la distribuzione diretta, quella per conto o attraverso il canale delle farmacie dipende dalla contrattazione tra le Regioni e la rappresentanza sindacale dei titolari. Se poi andiamo a considerare tutte le conseguenze negative, vorrei sottolineare che escludere i farmacisti di comunità dal circuito dell’innovazione farmacologica significa privarli di conoscenze che invece sono fondamentali per mantenere lo status di professionista della salute e per garantire la sicurezza del cittadino.

Lei ha sostenuto recentemente che il Servizio sanitario nazionale dà evidenti segnali di crisi…

A quarant’anni dalla sua istituzione, il SSN continua a dimostrarsi un pilastro del nostro welfare e, in questi anni di crisi, ha evitato che alle preoccupazioni economiche il cittadino dovesse aggiungere anche quella della salute: sua e dei suoi cari. È però evidente che ci sono aree dell’assistenza in cui è urgente intervenire a partire dal potenziamento dell’assistenza territoriale e dell’assistenza alle cronicità. Ma prima ancora occorre rovesciare un paradigma che in questi anni ha condizionato pesantemente l’intervento in sanità: non si può parlare della tutela della salute solo ed esclusivamente usando il termine “spesa”.

Da cosa dovremmo partire?

Destinare risorse alla tutela della salute significa investire nel benessere dei cittadini, il che si traduce anche in una leva economica per tutto il Paese. E invece è doveroso ricordare come i principi di universalità ed equità alla base del nostro sistema siano oggi messi in forse da una politica che ha privilegiato la contabilità rispetto all’efficienza e all’efficacia.
Celebrando i 40 anni del SSN il ministro della Salute Giulia Grillo ha definito il Servizio sanitario come la più grande impresa del Paese. È vero, e allora non va dimenticato che nelle imprese occorre investire per la ricerca, per i miglioramenti organizzativi, per il personale e per la sua formazione soprattutto quando all’orizzonte si profilano enormi cambiamenti, che nel caso della sanità sono rappresentati innanzitutto dal sempre maggiore impatto delle malattie croniche, dall’invecchiamento della popolazione e dal flusso, sempre più impetuoso, dell’innovazione.

Il settore farmaceutico è uno dei colossi del tessuto imprenditoriale italiano, uno dei pochi che regge ancora bene e che anzi è in continua evoluzione. Ma parificando farmaci a brevetto scaduto e farmaci ancora sotto copertura, con il criterio di equivalenza terapeutica, non si rischia di mettere KO la ricerca? 

Il tema dell’equivalenza terapeutica tra farmaci con diversi principi attivi resta un tema controverso. Ma non tanto per la questione brevettuale, che ovviamente ha la sua importanza, quanto nel merito scientifico della stessa definizione di equivalenza terapeutica che è cosa diversa dall’equivalenza farmaceutica che è invece certificata a monte con il farmaco equivalente o generico che dir si voglia. Aifa ha individuato una serie di criteri per stabilire l’eventuale equivalenza tra farmaci diversi per principio attivo. Confido nel massimo impegno e attenzione nelle valutazioni perché esploriamo di fatto un campo nuovo e vorrei avere certezza che la salute del paziente resti comunque al primo posto nella scala di priorità di chi dovrà dichiarare l’eventuale equivalenza, rispetto a qualsiasi altra finalità di tipo economico.

Si parla tantissimo di equivalenza terapeutica fra, ad esempio, biosimilari ed originator. Non le sembra una posizione che dimentica, però, le differenze e le peculiarità dei singoli pazienti, una posizione in un certo senso che lontana dalle realtà che invece i medici si trovano a vivere ogni giorno fra le corsie degli ospedali?

Penso che l’ultimo documento dell’Aifa sui biosimilari rappresenti una valida risposta a questa problematica. Sì all’intercambiabilità tra originator e biosimilari garantendo comunque la libertà del medico di prescrivere l’originator. L’Aifa chiarisce infatti che i medicinali biologici e biosimilari non possono essere considerati sic et simpliciter alla stregua dei prodotti generici, o equivalenti, e perciò sostituibili automaticamente dal farmacista senza consultare il medico prescrittore. Ma, pur considerando che la scelta di trattamento rimane una decisione clinica affidata al medico, Aifa sottolinea anche che a quest’ultimo è affidato il compito di contribuire a un utilizzo appropriato delle risorse ai fini della sostenibilità del sistema sanitario e la corretta informazione del paziente sull’uso dei biosimilari. MI sembra una posizione corretta e condivisibile.

Crede che il nuovo sistema di payback proposto dal documento possa essere efficace?

Vedremo, il documento del ministero della Salute si limita a sottolineare la necessità di rivedere le attuali politiche dei tetti di spesa per i farmaci e del payback. E sul fatto che sia necessario metterci mano siamo tutti d’accordo. Ma al momento nel documento c’è solo questo auspicio. Vedremo.

Il ministro Grillo ha parlato di un risparmio pari a circa due miliardi, ma a molti queste cifre non convincono. Lei crede ci possa essere questo margine?

Penso che se il ministro ha parlato di questa cifra abbia dalla sua conti e previsioni attendibili. Ma in ogni caso, siano 2 miliardi o 2 milioni, il punto è che, come ho già detto, questi risparmi restino a disposizione del comparto.


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