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Lavrov punzecchia gli Usa, mentre ammassa forze militari in Ucraina

Intervistato dalla Komsomolskaya Pravda, giornale filo-governativo, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha stuzzicato l’amministrazione statunitense dicendo che la politica con la Russia è stata “chiaramente delegata” al Consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton. Lavrov dice di aver perso i contatti – qualcosa come, non ricordo da quanto tempo è che non ci sentiamo – con il suo omologo Mike Pompeo.

E di nuovo: “Ho la sensazione che Pompeo non si occupi più della Russia nella politica estera”, ricordando che Bolton è andato a Mosca un paio di volte e ha incontrato sia il suo omologo, Nikolay Patrushev, sia il presidente Vladimir Putin. Pompeo no, invece.

Per comprendere meglio ciò che dice Lavrov, occorre andare indietro di qualche giorno, a un’altra intervista, concessa a “Moscow. Kremlin. Putin”, programma della prima rete statale Rossiya 1, in cui si celebra in salsa putiniana il culto della persona verso il presidente. In quell’occasione il ministro parlava di come Bolton stesse lavorando per mantenere aperto il dialogo con Mosca, e lo avesse confermato apertamente in una conversazione telefonica avuta a inizio dicembre con Yury Ushakov, il responsabile della politica estera del presidente Putin – “Siamo pronti per questo, così come sono pronti i nostri colleghi”, diceva.

Poi il richiamo a un episodio specifico: il G20 di Buenos Aires. Il più alto diplomatico russo faceva notare che durante il vertice argentino lui non aveva “a qualsiasi costo” cercato contatti con il suo omologo statunitense, Pompeo appunto, ma anzi: “Non l’ho inseguito [Pompeo]”, ha detto smentendo ciò che alcune indiscrezioni stampa avevano fatto uscire, “francamente parlando, non so nemmeno se c’era o no, perché non ho visto la delegazione americana”.

Lavrov ha citato il G20 perché è stato terreno di uno scontro pubblico tra Mosca e Washington, dato che la Casa Bianca ha annullato il faccia a faccia programmato da mesi – grazie ai contatti facilitati dal lavoro di Bolton – a causa di un episodio di guerra con protagonista la Russia in Ucraina. In breve: domenica 25 novembre, unità militari regolari russe hanno preso in ostaggio 24 marinai e tre imbarcazioni delle forze di sicurezza ucraine che transitavano attraverso lo stretto di Kerč, il passaggio che chiude il Mar d’Azov, angolo nord-orientale del Mar Nero diventato ultimamente il centro delle contese geopolitiche tra Mosca e Kiev.

La retorica su Bolton e Pompeo ha dunque un doppio valore. Da un parte si attacca il dipartimento che, insieme al Pentagono, sta tenendo la postura più severa nei confronti della Russia. Pochi giorni fa stata per esempio l’ambasciatrice all’Onu a spiegare, come già fatto dallo stesso segretario di Stato in varie occasioni precedenti, che con Mosca gli Stati Uniti non intendono precludere il dialogo, ma vogliono portarlo avanti vedendo la controparte tenere atteggiamenti puliti – il sequestro di marinai e navi ucraine sul Mar Nero non rientra di certo tra questi, e per tale ragione l’incontro al G20 era stato cancellato, spiegava l’uscente Nikki Haley dal Palazzo di Vetro.

Ora Lavrov devia da una linea tenuta dagli organi stampa russi come Sputnik, che considerava le nomine di Bolton e Pompeo un deragliamento verso il mondo neocon della presidenza Trump – una concessione che dimostrerebbe come “la palude” di Washington che Trump voleva dragare alla fine “ha prosciugato il presidente e la sua volontà di resistere allo stato profondo”: un’accusa pesante per la Casa Bianca – e così cerca di fare pressione sulla presidenza.

Mosca sa che Trump vuole il contatto con Putin, vuole mantenere relazioni aperte e confronto sereno, e lo vuole molto di più di alcuni angoli delle propria amministrazione – che spesso, nella narrazione propagandistica e disinformativa russa vengono descritte come uno stato profondo che vorrebbe manovrare Trump (che spesso ha alluso anch’egli a certi complotti, e dunque assorbe facilmente certi messaggi).

Lavrov punzecchia Washington, ma intanto, oggi, il comando della Difesa russa ha fatto sapere che una dozzina di velivoli militari saranno trasferiti da Krymsk, che si trova nella zona di Krasnodar – entroterra russo di Kerč – a Belbek, che si trova nella penisola crimeana che i russi hanno occupato e annesso nel 2014 (anno in cui le relazioni con gli Stati Uniti, e l’Europa, sono precipitate).

Si tratta di caccia Su-27SM e Su-30M2, che, come spiega il Kommersant, erano da tempo in attesa del dispiegamento in Crimea (Belbek si trova vicino a Sebastopoli, dove i russi hanno di stanza diverse unità navali), ma la contingenza temporale non passa inosservata. Da giorni il Cremlino sta diffondendo disinformazione a proposito di una prossima campagna militare ucraina nell’area di Donetsk, dove si trova una delle repubbliche filorusse autoproclamatosi indipendenti.

E i russi hanno sfruttato la situazione per accumulare forze armate in Crimea e lungo il confine ucraino. Nel frattempo, la scorsa settimana, dal 12 al 15 dicembre, l’ammiraglio Ihor Voronchenko, comandante della marina ucraina, è stato a Washington, dove ha ragguagliato della situazione sullo stretto di Kerč gli americani. Vorochenko ha parlato con l’ammiraglio, suo omologo nella Us Navy, e ha incontrato membri del Congresso e analisti di politica estera (probabili uomini del dipartimento di Stato) – soprattutto i senatori sono una delle parti dell’apparato americano che in questo momento chiede, in forma bipartisan, maggiore impegno su certi dossier da parte dell’amministrazione, superando il disingaggio generale promosso dal presidente.

 

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