Il vescovo Epiphanius è il nuovo primate della Chiesa Ortodossa in Ucraina. Al Concilio di Unificazione erano presenti 192 rappresentanti delle realtà ecclesiali ortodossi presenti in Ucraina, compresi gli oltre 40 vescovi dell’auto-proclamato “Patriarcato di Kiev” e la dozzina di vescovi della cosiddetta Chiesa autocefala ucraina. Con loro due dei novanta vescovi della Chiesa ortodossa ucraina legata al Patriarcato di Mosca hanno preso parte all’assise per la creazione della nuovo Chiesa, che è dunque, dopo secoli, indipendente dalla giurisdizione moscovita. Un fatto di portata storica, come, purtroppo, un altro dato, emerso a commento di questo avvenimento.
Quando un vescovo cattolico, monsignor Lefebvre, rifiutò le deliberazioni del Concilio Vaticano II il Vaticano pesò le sue decisioni, gli chiese di cambiare orientamento, ma non procedette contro di lui se non quando monsignor Lefebvre decise di ordinare lui quattro vescovi, ponendosi così di fatto fuori dalla Chiesa, nella quale i vescovi vengono notoriamente nominati dal papa. Ci volle insomma una strappo da parte del ribelle di dimensioni tali da rendere impossibile non vedere per portare alla rottura: le altre discussioni, sebbene relative a testi vincolanti come le deliberazioni conciliari, non avevano prodotto la scomunica. E comunque anche davanti a quella rottura decisa evidentemente da monsignor Lefebvre, da parte vaticana quando si procedette a scomunicarlo si espresse dolore. Non c’è traccia di dolore nelle parole con cui i vertici della Chiesa ortodossa russa hanno commentato la decisione di due dei loro vescovi di stanza in Ucraina che hanno partecipato al concilio. I termini usati nei loro confronti non rimandano a dolore, rammarico, divisione tra fratelli. Il responsabile delle relazioni internazionali del patriarcato di Mosca infatti li ha definiti “due traditori”. E il portavoce del patriarcato di Mosca ha detto che su dodici apostoli ci fu un Giuda, su novanta vescovi fedeli a Mosca uno ne poteva immaginare sei o sette, “mentre i Giuda sono stati soltanto due”.
Questo vocabolario che poco si confà ad ambienti religiosi è forse il dato più rilevante emerso nelle ore successive al Concilio ucraino. È infatti opportuno chiedersi cosa abbiano detto i due vescovi che per quanto inquadrati nella Chiesa ortodossa fedele a Mosca hanno deciso di unirsi ai loro confratelli “indipendentisti”. Hanno detto che con rammarico constatavano di non aver trovato nel patriarcato moscovita la volontà di superare la divisione tra fedeli in Ucraina. Parole gravi ma composte, importanti e corrispondenti a una realtà difficilmente discutibile. I processi di decolonizzazione sono sempre difficili e dolorosi, affrontarli con uno spirito nazionalista non può aiutare. Se si tengono in conto le azioni e provocazioni militari di queste settimane, i pericoli, i sommergibili, gli spostamenti di armi e altro ancora, si percepirà che il passo dei due vescovi è quello meno provocatorio, quello più teso a fare della religione non uno strumento della politica, ma un fluidificatore di tensioni che rischiano di alimentare scenari drammatici per tutti.
Assai importante è stato il saluto di felicitazioni indirizzato a Epiphanius dal capo della Chiesa cattolica ucraina, l’arcivescovo Schevchuk: “Il futuro della nostra Chiesa, del nostro popolo e di uno stato ucraino libero e indipendente in Europa dipende oggi da come nutriremo l’unità e supereremo ciò che ci divide. Da qui in avanti lavoreremo nella storia, verso l’unità e la verità. Abbiamo molte sfide davanti, ma sono lieto che il nuovo primate (ortodosso) abbia sottolineato la necessità di sviluppare l’educazione teologica”. Infatti durante la sua prima omelia quale primate ortodosso di Ucraina, ruolo che con ogni probabilità verrà ufficialmente riconosciuto dal patriarca ecumenico Bartolomeo il prossimo 6 gennaio al Fanar, il metropolita Epiphanius ha detto che le porte della sua Chiesa saranno aperte a tutti, completando il lavoro di unificazione degli ortodossi ucraini, sviluppando la teologia e la scienza, e pregando per la fine della guerra e una pace giusta. Le numerose dichiarazioni politiche di giubilo per la nascita della nuova Chiesa, anche dagli Stati Uniti, confermano che la politica sa sempre usare la religione, non solo al Cremlino: per questo i due vescovi russi accusati di tradimento sembrano più responsabili di tanti altri.