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Perché bisogna votare la fiducia al governo Letta. Parla Fassino

Ha attraversato le “bufere interne” del suo partito da varie posizioni, da segretario dei Ds a ministro. Ma nonostante oggi sia distante dalla politica nazionale che si gioca a Roma, Piero Fassino, sindaco di Torino, crede che per comprendere i primi vagiti di questa grossa coalizione sia necessario affidarsi all’esperienza tedesca e al pragmatismo, consci “che non vi era altra possibilità”. Perché “la politica vive di stati di necessità”. Ecco la conversazione di Formiche.net con Fassino.

Perché votare la fiducia al governo Letta?
Intanto perché il Paese ha bisogno di un esecutivo, viviamo in una fase di crisi economico-sociale molto grave e i cittadini si aspettano dalla politica risposte. Si è votato due mesi fa, è tempo che si metta mano alle emergenze principali. In secondo luogo sulla base degli equilibri parlamentari nessun altro tipo di governo si è rivelato essere praticabile: il centrosinistra non era in grado di avere una maggioranza autosufficiente se non in una delle due Camere; il centrodestra neanche. Risulta dunque evidente che l’unica possibilità, figlia di una situazione eccezionale, era un governo di larga coalizione. Lo abbiamo formato, adesso bisogna sostenerlo.

Secondo Fabrizio Barca il governo è frutto dell’insuccesso del Pd: è così?
Certamente è frutto di un risultato elettorale che ha visto nessuna forza politica ottenere una vittoria nelle urne. Il Pd ha qualche decimale in più del Pdl ma non va oltre il 30%. Si è determinata una tripolarità che rende difficile la formazione di una maggioranza omogenea e autosufficiente. E quando vi è uno stato di necessità bisogna prenderne atto. Ricordo che in Germania vi fu un’elezione in cui il partito Cristiano democratico ottenne solo un seggio in più dei socialdemocratici, entrambi avevano condotto una campagna elettorale chiedendo i voti per governare in maniera autosufficiente. Poi però presero atto di un risultato elettorale di parità e fecero la grande coalizione. Esse non sono mai a priori figlie di una scelta politica, ma di uno stato di necessità in cui la politica prende atto che quella è l’unica soluzione possibile.

Come spiegare alla base del Pd il governo con Berlusconi?
Esattamente come ho detto prima, non è una scelta di alleanza, ma uno stato di necessità. Non dar vita a un governo di larga base parlamentare come quello presieduto da Letta significherebbe andare alle elezioni come unica alternativa. Ma mi pare che in questo clima non sarebbe una soluzione, perché il risultato sarebbe o analogo o peggiore.

Come anticipato nel discorso del Capo dello Stato, il programma di Letta sarà improntato sul lavoro dei saggi: come mescolarlo con le richieste del Pdl sull’Imu o sulle intenzioni di modificare la riforma Fornero?
È evidente che il programma del governo Letta sarà quello del governo Letta. Quindi né quello proposto in campagna elettorale dal Pd, né quello proposto dal Pdl. Proprio perché è un governo di larga coalizione figlia di uno stato di necessità, avrà un programma percorribile. Non credo che una scelta di questa natura potrà sopravvivere se ogni forza politica pianterà una bandiera, ma solo se ciascuno prenderà atto che dovrà fare i conti con l’altro e trovare soluzioni di sintesi praticabili.

Il 4 maggio c’è l’assemblea nazionale del Pd: quanto crede peseranno psicologicamente i 101 franchi tiratori che hanno impallinato Prodi (e Bersani)?
Credo che ciò che pesi maggiormente sia l’insuccesso elettorale. Non c’è dubbio che il partito dovrà fare una serie di riflessioni sul perché non ha ottenuto il consenso maggioritario in cui, non soltanto si sperava, ma che per larga parte sembrava acquisito. Invece non era così. Comprendere quali sono stati limiti, errori e contraddizioni che ci hanno impedito di raccogliere tale consenso.

Chi parte favorito per la segreteria tra Renzi e Barca?
Eviterei di infilarci adesso nel totosegretario, anche perché il problema principale è definire una linea politica che sia sufficientemente chiara e comprensibile agli elettori. In relazione alla linea che si sceglierà si punterà sul leader che dovrà incarnarla. Allo stato dei fatti è il congresso che dovrà sciogliere questo nodo. Proverei un’inversione di fattori, partendo dall’individuazione di una linea politica che poi esprimerà un leader.

Il Pd è ancora di sinistra?
È un grande partito di centrosinistra nato dall’incontro fra Ds e Margherita, ciascuno consapevole che l’esperienza politico-culturale maturata nel ‘900 non era sufficiente per affrontare il nuovo secolo, e vi era la necessità di mettere in campo un partito nuovo, con un profilo riformista. Naturalmente nei primi anni della sua vita non poteva che essere influenzato dalle identità ei partiti che lo avevano generato. Man mano che corre il tempo acquisisce sempre più una propria soggettività di spinta da quel che ha alle spalle. Oggi è giunto esattamente il tempo di questo salto.

twitter@FDepalo


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