Si chiama Mediterranean Hope, è il progetto con cui la Federazione delle Chiese Evangeliche intende contribuire alla ricostruzione della speranza mediterranea e che alla vigilia del Natale ha illustrato presso la Federazione Nazionale della Stampa Italiana alla presenza del pastore Luca Maria Negro, presidente degli evangelici italiani, del professor Paolo Naso, dei rappresentanti delle Ong partner e di un ospite d’eccezione, l’ex sindaco di Riace, Domenico Lucano.
Il suo nome infatti riassume, in termini di impegno e di immagine, il senso profondo di Mediterranean Hope, e cioè accoglienza che sia soccorso e integrazione, perché, come ha ricordato il professor Naso, “chi salva una vita salva il mondo intero.” Fautrici, promotrici e finanziatrici dei corridoi umanitari insieme alla Comunità di Sant’Egidio, le Chiese evangeliche, la Chiesa valdese e i luterani e metodisti italiani sanno che questo progetto con itinerario di integrazione già stabilito al momento dell’arrivo in Italia dei tanti asilanti accolti in base a visti umanitari definisce un modello alternativo perché indica una strada e la sua percorribilità, ma non risolve il problema.
Il problema è nella cultura, nella percezione dell’immigrazione o dell’immigrato come un problema e non come una risorsa. E allora occorre elaborare una narrazione e ricostruire la speranza mediterranea vuol dire innanzitutto riaffermare il valore umano prioritario del soccorso, dal mare, dalla terra e anche dal cielo, grazie all’accordo con una Ong che fa monitoraggio aereo di quanto accade nel Mediterraneo; occorre promuovere una cultura resistendo nel soccorso in mare grazie ad Open Arms e cercando di attrezzare a terra, soprattutto a Lampedusa e in Sicilia, strutture di accoglienza e integrazione.
Tutto questo nel solo 2018, con Open Arms, ha già determinato il salvataggio di 59mila vite umane: numeri da capogiro, che non bastano a rappresentare il quadro completo, che consta anche della struttura di Scicli, impegnata nell’accoglienza di persone in condizione di particolare vulnerabilità e nell’organizzazione di iniziative sociali e culturali sul territorio, dell’osservatorio di Lampedusa, che da anni svolge un lavoro di primissima accoglienza, mediazione e ricerca e ora del citato monitoraggio aereo. La battaglia culturale si vince con il lavoro, con i risultati, con l’esempio e quindi è di particolare rilievo la costituzione, sempre con i fondi dell’8 per mille e in collaborazione con le diverse chiese europee a favore dei migranti che vivevano in altri paesi europei, di uno sportello per i rimandati in Italia (paese di primo ingresso) in seguito all’applicazione del Regolamento Dublino.
Grazie a questo sportello è possibile accompagnare i cosiddetti “dublinati” segnalati dalle chiese estere nel loro percorso di reinserimento nel sistema di accoglienza nazionale. La diffusione di una cultura ostile ai rom, ai migranti, ai rifugiati è stata denunciata chiaramente dal professor Paolo Naso, che ha sollecitato l’elaborazione di una nuova narrazione partendo dai fatti, dai volti e dalle prospettive, e Domenico Lucano ha aggiunto il valore della testimonianza. Ha ricordato la Riace che guidava con non poche difficoltà, finita come tutti sanno nonostante che lì ormai vivessero insieme 1600 persone delle quale 700 arrivate in Italia dal mare.
“Non siamo stati noi, è stato il vento a portarli sulle coste calabresi, in un contesto doloroso come quello della locride, dove vecchi borghi muoiono abbandonati a causa dell’emigrazione e dove ogni giorni ci si confronta con la piaga mafiosa. Riace era tornata a vivere, vecchie case abbandonate rivedevano i giochi dei bambini, la vita, l’incontro, l’artigianato. Ma Riace dava fastidio, ed è stata abbandonata”, mentre baraccopoli infernali come quelle delle piana di Gioia Tauro, dove si sono registrati episodi gravissimi e dove il caporalato e il lavoro nero seminano ogni giorno disprezzo per la vita e per l’uomo sono ancora al posto loro. Le parole di Domenico Lucano hanno toccato le coscienze di molti, anche quando ha ricordato i tratti di collegamento tra l’attuale gestione del ministero dell’interno e quelli della gestione precedente: e mentre parlava qualcuno potrebbe essersi ricordato del codice di condotta per le Ong.