Tra poche ore la manovra più discussa delle ultime legislature sarà approvata. Un punto fermo, una svolta, che lo si voglia o no. E per il ministro del passo indietro, Paolo Savona (qui il commento di Formiche.net di pochi giorni fa), l’uomo che con buona dose di realpolitik ha reso possibile l’accordo con l’Ue, è tempo di guardare avanti. Ma soprattutto di fare del buon Pil, partendo proprio dalla legge di Bilancio gialloverde e dai nuovi equilibri sanciti con Bruxelles.
In un lungo articolo pubblicato questa mattina su Milano Finanza, Savona traccia una sorta di road map dell’esecutivo, da qui ai prossimi sei-otto mesi. Cosa fare, cosa non fare ma soprattutto come farlo. Tanto per cominciare però, via qualche ombra sulle settimane che hanno preceduto l’intesa con l’Ue, più volte data per impossibile.
LA DIGNITÀ DI UN GOVERNO
“Il governo”, scrive Savona, “ha retto nel difendere il minimo necessario per riaprire l’offerta di lavoro, soprattutto ai giovani, e combattere la povertà, mentre l’Unione europea non ha mostrato d’essere sensibile al primo anello di questa ineludibile catena di relazioni. La parola crescita appare solo nel dato statistico che indica una diminuzione del pil preventivato dall’1,5 all’1%, fermo sui valori del 2018. Dati i vincoli, con la trattativa nulla di più si poteva ottenere”. L’analisi del ministro è chiara: nulla più si poteva fare, avanzare anche solo di un centimetro era tecnicamente impossibile. Per questo è molto meglio e realistico guardare il bicchiere mezzo pieno che mezzo vuoto.
INVESTIRE E ANCORA INVESTIRE
Chiusi (o quasi) i giochi con l’Europa, che cosa devono fare Tria, Salvini, Di Maio e Conte? “Si richiede che l’azione di governo si concentri sul duplice obiettivo di riavviare gli investimenti, che restano lo strumento indispensabile per ostacolare la congiuntura negativa e non aggravare i ritardi di crescita accumulati e di definire una politeia che restituisca prospettive di crescita all’Italia e di stabilità all’Unione europea”, afferma Savona. Ora, chi deve investire? Lo Stato? I privati? Il responsabile per gli Affari Ue, ha pochi dubbi. “Gli investimenti aggiuntivi non possono non essere privati, salvo raggiungere uno specifico accordo europeo che escluda quelli pubblici dai parametri fiscali o rilanci la domanda aggregata a livello comunitario, mobilitando gli ingenti surplus di bilancia estera esistenti. Una valutazione cautelativa suggerisce che nel corso del 2019 gli investimenti in Italia non possano essere inferiori all’1% del pil, se si vuole raggiungere la crescita reale prevista. Ma meglio se si raggiunge il 2%, se si vuole mettere il Paese in sicurezza dagli attacchi speculativi”.
200 MILIARDI PER NON MORIRE
Le cifre evidenziate da Savona sono forti. E corrispondono pressapoco a quelle contenute nell’ultimo piano industriale della Cassa Depositi e Prestiti. 200 miliardi di spesa produttiva in tre anni. Un buon modo, diciamo l’unico, per costruire intorno al Paese la giusta corazza contro la speculazione. Ma soprattutto per mantenere calma Bruxelles. “Così facendo, il rapporto debito pubblico/pil, quello che maggiormente preoccupa i mercati e la stessa Commissione europea, riuscirebbe a mantenersi, sia pure lievemente su una linea discendente nella prima ipotesi e ridursi ancor più nella seconda; se non accadesse, il quadro di riferimento della politica economica del governo cambierebbe, per giunta in un contesto europeo di difficoltà decisionali (dalle elezioni al rinnovo dei principali incarichi)”. Non basta però. L’Italia deve fare la sua parte, ma anche l’Europa.
I COMPITI DELL’EUROPA
Savona non fa fatica ad ammettere che anche l’Europa ha precise responsabilità nel favorire la ripresa italiana. Ci sono compiti precisi che Bruxelles deve mettere in conto. “Queste iniziative, tuttavia, richiedono che vengano sbloccati piccoli o grandi intoppi che si frappongono alla loro realizzazione che, per alcuni aspetti, sono comuni agli investimenti pubblici ma, per altri, presentano specificità che vanno tenute in prioritaria considerazione nelle scelte del governo e del parlamento. A tal fine si avverte la necessità di un commissario ad acta (per gli investimenti, ndr)”. Tuttavia, “la cintura di sicurezza che l’Italia sarà in condizione di attuare con le sue forze non basterà per portare il Paese fuori dalla crisi iniziata nel 2008. L’Ue deve sbloccare i vincoli che pone all’uso degli strumenti di politica economica ampliando i contenuti della sua funzione di utilità basata sulla stabilità, assegnando un peso anche alla crescita, dotandola di strumenti adeguati. La necessità di una siffatta integrazione è attualmente molto sentita, tanto da indurre leader politici e opinionisti a chiedere con sempre maggiore insistenza non solo le riforme per i Paesi membri, ma per la stessa Unione”.
RICORDIAMOCI DEI TRATTATI
Tutto questo discorso non potrebbe stare in piedi se non poggiasse su solide basi: quelle dei Trattati Ue che Savona ben conosce, tanto da ricordare come essi stessi prevedano la solidarietà tra Unione-Stati e membri e anche tra gli stessi. “La messa in sicurezza dalla speculazione dei debiti sovrani da parte delle autorità europee rientra tra i doveri di sussidiarietà nascenti dai Trattati. Essa richiede una collaborazione con gli Stati membri che patiscono questa situazione, rinunciando tuttavia all’idea che questa sicurezza possa essere raggiunta perseguendo per decenni politiche deflazionistiche. Si possono individuare tecniche che consentono di farlo, evitando che i debiti di un Paese vengano messi a carico degli altri. La soluzione del problema investe anche il tema continuamente invocato della protezione del risparmio, che non si ottiene solo con norme adatte ma diffondendo fiducia in chi possiede obbligazioni”, scrive il ministro.
IL PRIMATO DELLA POLITICA
C’è un lungo filo rosso che lega i diversi aspetti trattati da Savona. Il primato della politica sulla tecnica. L’uomo che vince anche sui numeri. Questa è la vera missione dell’Italia, dell’Europa e perché non del mondo. “Ripristinare la supremazia della politica sulle soluzioni tecniche è il compito che ci attende in Italia e in Europa. Se si accetta l’opposto, la situazione può sfuggire di mano”. Ma attenzione a non scivolare. Perché “una politica che non sia ispirata da una politeia, una forma condivisa di organizzazione del bene comune, non ha lunga vita”. Ripartiamo da qui.