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La manovra e il Mezzogiorno. Quale cambio di passo per il riscatto del sud?

Mezzogiorno

La manovra di politica economica varata dal governo e approvata dal Parlamento – al di là delle vibranti proteste delle opposizioni sul metodo del confronto parlamentare che l’ha accompagnata e sul merito dei suoi contenuti – deve essere giudicata anche in relazione a quanto vi è previsto per il Mezzogiorno.

È stato riconfermato il bonus per le assunzioni e questo indubbiamente è positivo, mentre bisognerà verificare come la concreta attuazione del reddito di cittadinanza potrà aiutare in alcune aree del Sud le fasce sociali più deboli che ne beneficeranno a superare, o almeno ad attenuare, la loro condizione di precarietà e di bisogno.

Anche la riduzione degli investimenti pubblici nel triennio potrebbe penalizzare le regioni meridionali che dall’entità delle risorse stanziate e dalla loro velocità di impiego traggono sicuro beneficio, come dimostrato ancora una volta da recenti ricerche di alcuni centri studi.

Ma al di là di quanto contenuto nella legge di bilancio, è opportuno sottolineare a nostro avviso che l’azione del governo in favore del Meridione dovrebbe esplicarsi attraverso altri interventi così riassumibili:

1) controllo sistematico, capillare e stringente sulla spesa dei fondi comunitari del ciclo 2014-2020, e non solo di quelli gestiti dalle Regioni, ma anche di quelli di vari ministeri che registrano a volte ritardi maggiori nel loro impiego, rispetto a quelli impegnati e spesi dalle Regioni;

2) accelerazione degli investimenti in corso o programmati dalle grandi imprese a controllo pubblico in tutti i contesti territoriali in cui essi sono stati avviati o previsti, facendo in modo di ottenere tutte le autorizzazioni necessarie da parte dei soggetti preposti a darle in tempi brevi. Si pensi, in proposito, al completamento dei lavori di conversione a bioraffineria del sito di Gela dell’Eni, o agli investimenti della Leonardo Divisione Aerostrutture, o agli interventi di Ferrovie ed Anas là dove previsti;

3) intervento sulla Regione Basilicata perché autorizzi l’avvio delle estrazioni petrolifere a Tempa Rossa dove Total, Shell e Mitsui sono pronte dallo scorso agosto ad iniziarle, ma inspiegabilmente non ricevono il via libera dalla Regione con danni per le aziende (mancato guadagno), per lo Stato (minor gettito fiscale) e per le popolazioni (niente royalties);

4) accelerazione dell’avvio dei contratti di sviluppo già approvati o in istruttoria con parere positivo presso Invitalia con ampliamento della dotazione di risorse per finanziarli;

5) accelerazione e completamento degli investimenti previsti dal Contratto istituzionale di sviluppo per Taranto, a favore della cui riconversione economica peraltro sono stati stanziati nella Legge di Bilancio 300 milioni che, al momento, non si comprende ancora come e in quanto tempo si vogliano effettivamente impiegare.

E quelli citati sono soltanto alcuni esempi di quanto si potrebbe fare in favore delle regioni del Sud, anche se chi scrive ribadisce ancora una volta che oggi l’Italia meridionale dispone di tutte le condizioni umane e materiali per rafforzare la sua crescita attraverso azioni autopropulsive che esigono – per potersi dispiegare sino in fondo – una crescente efficienza delle classi dirigenti locali ad ogni livello nel governo dei loro territori e un vero e proprio salto di mentalità da parte di tante imprese meridionali che sono già un punto di forza di varie economie del Sud.

In molte sue aree in realtà già da tempo si manifestano fermenti imprenditoriali fortemente positivi registrati anche nell’ultimo Check up Mezzogiorno elaborato da Confindustria e Srm, società di ricerca del Gruppo Intesa San Paolo. Bene, ma allora bisognerà continuare su questa strada con un cambio di passo là dove necessario. Nessuno regalerà al Mezzogiorno le chiavi del suo riscatto se non gli stessi meridionali, con il loro impegno, il loro lavoro e il desiderio profondo del loro sviluppo economico, sociale, civile e culturale.


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