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La rivolta francese contagia l’Europa. Anche in Ungheria, Romania e Slovacchia si contesta il governo

orban

(Seconda parte di un’analisi più ampia. La prima parte si può leggere qui)

Sia pure, con ragioni e modalità diverse, negli ultimi mesi si è andato diffondendo un moto di indignazione prossimo a quello francese, in proporzioni minori, in Belgio, in Portogallo, in Spagna, persino in Svezia dove il tema dell’immigrazione ha tenuto banco pericolosamente. Il sostegno ai partiti tradizionali crolla ovunque. In Spagna ne nascono di nuovi, come Vox che, se si vuol semplificare, può essere definito di destra non tradizionale, ma radicale. La politica contro il mondialismo e l’omologazione culturale è il tratto distintivo. La globalizzazione, ammettono perfino i liberisti più coriacei, è stata un’occasione mancata della quale hanno profittato le élites economico-finanziarie, utilizzando l’arma dell’austerity, per dominare popoli sempre più impoveriti e indotti a soddisfare nuove necessità: per di più società aperte e multiculturalismo registrano il loro fallimento di fronte a chi invoca presidi identitari che si trasformano in vere e proprie richieste di cambio di passo come in Francia.

L’UNGHERIA DI ORBAN

Ma anche laddove un processo di cambiamento in questo senso sembra aver ottenuto successo, si registra una sorta di rigetto. L’Ungheria di Viktor Orban, per esempio, è teatro in questi giorni di manifestazioni popolari scaturite alla “legge sullo schiavismo”, come è stata definita la normativa che pretende di innalzare a 400 le ore di straordinario per non assumere soprattutto nei comparti statali. Dieci anni di governo “sovranista” non hanno “silenziato” il politico che da giovane si era imposto come un riferimento anticomunista rischiando la vita.
Quindicimila persone a Budapest hanno dato vita ad un corteo, giorni fa, che si è fermato davanti al Parlamento. Vi hanno preso parte tutte le formazioni politiche, dai Verdi all’estrema destra identitaria, oltre a socialisti e liberali. Orban è contestato nel suo Paese, dominato con metodi non sempre ortodossi, come mai prima. Oltre alla legge “schiavista”, della quale i manifestanti hanno reclamato l’abrogazione, è stata chiesta maggiore indipendenza ed obiettività dei media pubblici apertamente schierati su posizioni filo-governative e diretti verso un’ulteriore concentrazione in un’associazione costituita da editori e magnati vicini ad Orban.
Dunque, se il problema della Francia è l’impoverimento della classe media, in Ungheria la questione tocca la libertà di espressione ed il lavoro. Orban è stato visto come il fautore delle ragioni del popolo contro le élites; ma si dimentica spesso, quando valutazioni del genere emergono, che chi contesta l’establishment necessariamente lo sostituisce. Non occorre approfondire gli studi di Mosca, Pareto e Michels per toccare con mano una realtà tanto semplice e chiara.

LO SCONTENTO IN ROMANIA E SLOVACCHIA

Ma è anche la corruzione a seminare scontento in Europa. Uno dei casi più clamorosi riguarda la Romania dove fin dallo scorso agosto migliaia di manifestanti hanno dato vita a proteste contro il degrado della classe politica che si comporta, secondo alcuni, come il clan di Ceausescu. Preso di mira è soprattutto il Partito socialdemocratico al potere accusato oltre che di corruzione anche di voler indebolire la magistratura
Da quando ha vinto le elezioni, nel 2017, ha cercato di depenalizzare numerosi reati relativi alla corruzione, tanto che l’Unione europea considera la Romania uno dei paesi più corrotti: Liviu Dragnea, leader del Partito socialdemocratico, è stato condannato a 3 anni e mezzo di reclusione per abuso di potere, una decisione per la quale ha fatto ricorso. Ricordiamo che quando il suo partito vinse le elezioni, Dragnea non aveva potuto assumere la carica di primo ministro a causa di una precedente condanna per brogli.

Nella vicina Slovacchia sempre contro la corruzione della classe politica la polemica è costantemente accesa. Poche settimane fa migliaia di persone hanno partecipato a una manifestazione di protesta a Bratislava. “L’aumento degli standard di vita e la disoccupazione in calo non bastano più”, ha notato Grigorij Meseznikov, direttore dell’Institute for Public Affairs di Bratislava. “Queste persone vogliono una società migliore in cui venga rispettato lo stato di diritto”.

CHE ARIA TIRA IN POLONIA

Anche in Polonia si respira un’aria malsana. Antichi risentimenti si sovrappongo a nuove emergenze. La diffidenza nei confronti dell’Unione europea è crescente. Come in tutti i Paesi del gruppo di Viségrad e nel resto del centro-est dell´Europa.
A Bruxelles, piuttosto che limitarsi a condannare genericamente ciò che accade da quelle parti, farebbero bene a chiedersi quali sono le ragioni della mancata integrazione. Ragioni che stanno diventando prevalenti in buona parte dell’Europa, mai così disgregata, mai così in pericolo.


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