Con la cattiva stagione riemerge con forza il problema della precarietà e della insalubrità delle “casette”. Realizzate in tempi rapidi, anche se questo non sempre è vero, per rispondere a calamità di varia natura, si propongono come una soluzione a scadenza, giusto il tempo per affrontare l’emergenza. Accompagnata da una consuetudine che si ripete, sappiamo che l’emergenza non poche volte viene prolungata fino a essere trascurata, se non addirittura dimenticata; così i prefabbricati rimangono in uso, talvolta per anni, dando vita alla situazione paradossale di una sorta di permanenza consolidata pro tempore.
Il tempo della loro durata incide ovviamente sulle condizioni di benessere al loro interno. Una costruzione “tradizionale” riesce più facilmente a garantire una protezione sufficientemente equilibrata dal caldo e dal freddo; al contrario, le costruzioni meno pesanti, in legno o metallo, per assicurare un’inerzia termica soddisfacente devono affidarsi a materiali evoluti e sofisticati, quindi costosi. Stabilire con precisione il periodo d’uso è pertanto fondamentale, sia per vincolarne le caratteristiche costruttive, sia per ottimizzarne il consumo nei diversi periodi dell’anno. Un costo di costruzione maggiore, ma capace di garantire una buona protezione passiva, può diventare infatti conveniente se il tempo di esercizio si prolunga e, quindi, permette di recuperare il maggiore investimento attraverso il risparmio energetico, oltre che assicurare il rispetto e la tutela dell’ambiente.
I problemi, legati agli interventi realizzati ad Amatrice in occasione del sisma del 2016, si sono presentati quasi subito, ma adesso si stanno aggravando; essi dipendono in parte da quanto detto, e cioè dall’obsolescenza che insorge dopo un uso eccessivamente prolungato, ma in parte anche dalla carente dotazione dei sottoservizi che, se inadeguati, sono alla base della rapida accelerazione del degrado. Tutte le reti, ma soprattutto quelle idriche, devono assicurare corretti smaltimenti, in quanto ogni loro cattivo funzionamento provoca alterazioni che, se prevedibili e riparabili in strutture destinate a rimanere nel tempo, diventano compromettenti in opere pensate per durare poco.
Alla valutazione sulla qualità dei prodotti edilizi realizzati nelle aree terremotate, risulta indispensabile pertanto anteporre la chiarezza di un metodo, volto a classificare gli interventi in base alla loro preventivata durata. Se il ripristino degli edifici distrutti dal terremoto richiederà anni, le strutture provvisorie dovranno essere progettate per tempi analoghi, meglio se più lunghi.
Ovviamente nella definizione del metodo rientra anche il censimento di quanto è recuperabile e quanto invece dovrà costituire il programma delle nuove costruzioni, soggette, come tali, a tutte le prescrizioni dei piani di nuova edificazione. Nel metodo deve rientrare anche la valutazione che le costruzioni non possono essere considerate pro tempore per periodi troppo lunghi; dopo un determinato numero di anni devono ritenersi definitive, ipotizzando per esse, al termine della funzione originaria, un eventuale recupero ad altro uso.
In alternativa alle costruzioni provvisorie, soprattutto quando parti di città sono definitivamente compromesse, si pongono le aree da urbanizzare ex novo attraverso un programma di sviluppo che può derivare da molte e differenti ipotesi progettuali.
Si presentano, a questo punto, ulteriori e più complesse considerazioni sul carattere dei nuovi insediamenti, spesso quartieri-satellite realizzati per provvedere in modo stabile alle emergenze. Le esperienze finora maturate inducono a sollecitare, e con sufficiente anticipo almeno per le aree maggiormente soggette a calamità, la predisposizione di studi specifici, compatibili con le caratteristiche ambientali e tipologiche delle diverse identità urbane.