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Perché gli investimenti nei Paesi arabi sono una priorità per l’Europa

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In un rapporto della Banca mondiale, intitolato “Lo scoppio della rabbia popolare – l’economia della Primavera araba e le sue conseguenze”, pubblicato nel 2018, si analizzano cause e sviluppi dei sommovimenti che hanno interessato il mondo arabo dal 2011. Secondo il rapporto, gli Stati arabi postcoloniali si sono retti su un contratto sociale fondato su un assistenzialismo statale di livello modesto ma sufficiente a garantire la pace sociale, cui corrispondeva una compressione dei diritti politici della cittadinanza; il progressivo affermarsi di metodi clientelari nella gestione della cosa pubblica ha reso sempre più inefficiente la spesa pubblica, riducendo la portata e l’efficacia dell’assistenzialismo statale; le imprese private, che avevano un ruolo limitato in un sistema a preponderante economia pubblica, non hanno avuto la capacità di assorbire la domanda di lavoro proveniente da una popolazione in forte crescita; la povertà, le disuguaglianze ma anche la frustrazione della classe media hanno alimentato le proteste di piazza, che hanno portato ai cambiamenti di regime.

All’esito delle rivoluzioni, lo sviluppo economico dei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente continua ad essere insufficiente per assorbire la domanda di lavoro di una popolazione in forte crescita, con inevitabili conseguenze sul piano delle tensioni sociali. In tale situazione il rapporto della Banca mondiale consiglia ai governi arabi (ma ma il consiglio potrebbe valere per molti governi, compreso quello italiano) di contenere la presenza pubblica nell’economia, ridurre le posizioni di rendita, ammodernare l’amministrazione e la giustizia, semplificare la legislazione, stimolare l’iniziativa privata, garantire stabilità politica. È chiaro che, sulla base dei dati economici e di quanto sta accadendo nei Paesi arabi, l’azione dei governi non riesce a dare adeguate risposte agli squilibri socio-economici in atto.

Ora, è di tutta evidenza che la stabilità socio-economica di tali Paesi, nel delicato contesto del mediterraneo, è nell’interesse di tutta l’Europa e in principal modo dell’Italia, dal punto di vista economico ma anche della gestione dei flussi migratori e del contenimento delle concause del terrorismo. Ed è chiaro che, pur tenendo conto di quanto riusciranno a fare i governi arabi nei prossimi anni, è ragionevole prevedere che le cause di tensione socio-economica persisteranno a lungo, specie in una situazione di costante crescita demografica, comportando conseguenze negative, anche gravi, sui Paesi europei. È quindi necessario intervenire per stabilizzare e sviluppare i Paesi arabi, con gli strumenti disponibili per l’Europa e cioè con iniziative di stimolo all’economia di impresa. L’orizzonte temporale di azione, attesa la dimensione e i trend demografici, non può che essere di medio-lungo periodo, per stimolare nel tempo il tessuto produttivo dei paesi arabi e contenere gli squilibri in atto.

Le modalità operative possono prevedere sinergie con le imprese locali o investimenti diretti sul territorio, con un grande potenziale utile anche per le imprese europee. Il ruolo dei governi europei è di supportare con gli strumenti di loro competenza, a livello politico e del sostegno di garanzia e finanziario, le iniziative delle imprese europee, meglio se adeguatamente sostenute da un piano strategico europeo, dotato di adeguate risorse. Lo si è fatto altre volte in passato, per fronteggiare squilibri socio-economici tra Paesi prossimi gli uni agli altri o legati da cointeressenze di varia natura. Lo si può rifare ora, per contribuire a stemperare le tensioni in atto ma anche per dare un messaggio politico: l’Europa rappresenta un elemento di sviluppo e stabilità per tutta l’area del mediterraneo.



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