Il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio, sostenuto da altri esponenti 5 Stelle e in parte da Matteo Salvini, imputa a vari Paesi europei, e in particolare alla Francia, la responsabilità “colonialistica” delle situazioni di crisi dell’Africa, causa delle migrazioni di massa. Le affermazioni non sono condivisibili, al punto da chiedersi perché sono state espresse.
Da decenni gli Stati africani hanno l’indipendenza, sono guidati da classi dirigenti nazionali, operano in contesti di libera economia, hanno sistemi politici democratici o comunque non assoggettati a Stati esteri, partecipano alle organizzazioni internazionali e continentali, sviluppano relazioni politiche, industriali e commerciali con tutto il mondo, elaborano culture nazionali e continentali del tutto autonome. L’idea che oggi sia in atto un neocolonialismo da parte degli Stati europei non ha senso. La tesi che nel passato vi sia stato un colonialismo i cui effetti negativi perdurano ancora può essere condivisa o avversata, ma risulta meno credibile col passare degli anni, per lo stratificarsi nel tempo di eventi politici e socioeconomici successivi all’indipendenza degli Stati.
Quanto al rapporto degli Stati africani con le multinazionali che operano in Africa, è possibile che la forza economica di grandi imprese internazionali, anche europee, sia in grado di influenzare le decisioni degli Stati o di sfruttare in maniera eccessiva le risorse del continente africano. Ma questo non può essere ricondotto al concetto di neocolonialismo, inerendo alle implicazioni negative della globalizzazione e al rapporto tra grandi interessi economici e classi dirigenti nazionali. Fermo restando che gli investimenti internazionali in Africa, a prescindere da ogni altra considerazione, operano in una economia di mercato, estranea a logiche coloniali, e contribuiscono allo sviluppo economico del continente.
Ancora meno condivisibili sono le affermazioni a sostegno di un rapporto tra migrazioni e colonialismo. I rifugiati fuggono da guerre, scontri etnici e religiosi, situazioni di grave crisi territoriale, cioè da realtà prodotte da fattori attuali o degli ultimi decenni, non del lontano passato (salvo ricondurre tutti i mali del continente al colonialismo, con un’evidente forzatura). I migranti economici lasciano contesti socioeconomici sottosviluppati o caratterizzati da varie forme di emarginazione, connesse al rapporto tra sviluppo economico e crescita demografica, all’incapacità degli Stati di dare risposte alle esigenze dei cittadini, all’affermazione di un modello di benessere veicolato dai media, non certo al colonialismo degli Stati europei. E gli investimenti internazionali in Africa, quali che siano le opinioni al riguardo, possono avere controindicazioni ma, su scala continentale, operano a favore dello sviluppo e quindi contro l’esodo migratorio.
Del pari contestabili sono le affermazioni sul ruolo della Francia. Certo, la Francia ha contribuito ad abbattere il regime di Gheddafi, creando una situazione instabile e pericolosa, i cui effetti negativi proseguono nel tempo; e ha i suoi interessi forti in Africa, dall’uranio al petrolio, dai prodotti agricoli ai metalli, spesso in competizione con altri Stati, anche europei. Ma i fatti parlano chiaro: solo una quota molto ridotta dei migranti provengono da Paesi con una moneta cogestita dalla Francia, peraltro su base volontaria e funzionale alla stabilità monetaria dei Paesi africani che la adottano (stabilità in assenza della quale potrebbero esserci vantaggi per i produttori locali, legati alla svalutazione competitiva, ma potrebbero esserci svantaggi per l’economia nel suo complesso); le strette relazioni politiche ed economiche tra Francia e diversi paesi africani si svolgono per libera scelta dei governi, non sulla base di costrizioni neocolonialiste; in più di un’occasione il Paese d’oltralpe è intervenuto militarmente in Africa, per fronteggiare situazioni di crisi, ma su richiesta degli Stati interessati o nell’ambito di operazioni internazionali o di valutazioni strategiche, anche sbagliate (come nel caso della Libia), al pari di altre potenze sullo scenario mondiale, e non di scelte neocoloniali; l’economia dell’Africa è sempre più internazionalizzata e il ruolo della Francia tende a ridursi rispetto ad altri Paesi, Cina in primo luogo; la cultura francese in Africa è tutt’altro che imposta e rappresenta un punto di riferimento per le realtà nazionali.
In tale contesto appare legittimo supporre che la polemica sul neocolonialismo sia frutto di inadeguata valutazione dei fatti oppure sia strumentale, in funzione delle prossime elezioni europee. Nel primo caso, si tratta solo di un problema di analisi. Nel secondo caso, a ben guardare, il riferimento al colonialismo può essere un modo per trarre benefici politici: un certo consenso per aver offerto una lettura storica del fenomeno migrazione, funzionale alla contrapposizione dei deboli contro i forti, insita nel populismo 5 Stelle; il richiamo a una tematica, quella del colonialismo, cara a una parte della sinistra, capace di attrarre potenziali elettori di quell’area; il consolidamento del Movimento dietro un leader che va allo scontro con i nemici neocolonialisti; la riaffermazione del pensiero semplificato, capace di offrire una risposta semplice a un problema complesso, come quello delle migrazioni dall’Africa; la conquista di una visibilità internazionale per un Movimento alla ricerca di uno spazio sulla scena europea; l’acquisizione di un qualche vantaggio da un tema, quello migratorio, gravido di potenziale elettorale e finora di pertinenza quasi esclusiva della Lega; con riferimento alla Francia, la ripresa della polemica contro un Paese dichiaratamente antipopulista ed europeista, protagonista di scontri con l’Italia su più fronti, pervaso da tensioni sociali che il Movimento 5 Stelle spera di intercettare e interpretare a livello europeo, senza tuttavia tener conto dell’interesse nazionale a mantenere buone relazioni e ad evitare un isolamento internazionale.
In definitiva, tanto rumore per nulla: stiamo assistendo a un altro passaggio di una campagna elettorale senza fine, dalle elezioni nazionali a quelle europee.