Il governo italiano non ha una strategia di politica estera chiara, né sul Venezuela né su tanti altri temi caldi che riguardano partner strategici, nel Mediterraneo e nell’Unione europea. Senza la consapevolezza del peso che l’Italia può avere nei dossier internazionali, non sarà possibile ritagliarsi un ruolo ancora maggiore per risolvere le crisi che imperversano, “ed è un vero peccato”. Ne è convinta Lia Quartapelle, deputata del Partito democratico e componente della Commissione Esteri con cui Formiche.net ha passato al setaccio le posizioni sui temi internazionali del governo gialloverde. Non c’è una posizione chiara, spiega Quartapelle, perché i due partiti di governo ritengono più importante la competizione elettorale dell’interesse nazionale.
La crisi in Venezuela è sempre più acuta, come interpreta la posizione del governo italiano?
È una posizione generica e tenuta tale più per evitare contraddizioni nella maggioranza che per lavorare a difesa della comunità italiana in Venezuela che è la seconda più grande nel Paese, né tenuta per fare in modo che l’Italia si adoperi attivamente per la soluzione di una crisi che rischia di essere sanguinosissima. Ancora una volta sulla politica estera al governo interessa di più salvaguardare gli interessi dei due partiti e a non scontrarsi, perché sappiamo benissimo che il Movimento 5 Stelle anche recentemente si è più premurato di difendere Maduro che difendere la democrazia e i diritti umani degli italiani presenti in Venezuela, mentre la Lega ha una posizione molto più vicina a quella di Trump. Per non risolvere queste contraddizioni, appunto, tengono una posizione molto generica. Ieri Conte ha detto che “siamo per la pace” (ride, ndr), mi stupirebbe che il governo italiano dicesse “siamo per la guerra civile”.
Guaidò si è autoproclamato presidente pro tempore, fino alle prossime elezioni che non si sa se e quando si terranno, ma ha ricevuto subito l’appoggio della Casa Bianca, come di altri Paesi. C’è chi interpreta quella di Trump come un’ingerenza, lei che ne pensa?
Io non mi focalizzerei solo su Trump. Le Americhe hanno reagito in modo diverso rispetto all’Europa su questa crisi, a parte Bolivia e Messico, governi anche molto diversi tra di loro – da Trump a Trudeau, dal governo cileno a quello argentino – hanno tutti quanti fatto delle dichiarazioni abbastanza chiare sul fatto che si debba riconoscere Guaidò. L’Europa ha reagito in modo un po’ diverso, perché nei mesi passati è stata al centro di un tentativo diplomatico di riconciliazione. Non è solo la posizione di Trump, ma una posizione diffusa. Non so, però, quanto potrà aiutare a trovare una soluzione.
Intanto Russia e Cina appoggiano Maduro. Un ulteriore elemento che aumenta il divario tra queste nazioni e gli Usa?
Mi sembra abbastanza chiaro che c’è una divisione sulle linee della contrapposizione delle politica estera che c’è in tutto il mondo. Mi spiego meglio: chi sta con l’opposizione democratica, e io credo che anche noi si debba dire che l’opposizione democratica è anche la nostra strada, e chi invece decide di stare con le dittature, perché sono dittature loro stesse. Chi è che sta con Maduro? La Turchia, l’Iran, la Cina. Io spero che alla fine in Venezuela prevalga il buon senso. Maduro, che è responsabile dello stato in cui versa il suo Paese, deve andarsene, e si deve fare una transizione per delle elezioni realmente democratiche, diverse da quelle che abbiamo visto in passato che si tenevano in un contesto di grande repressione delle opposizioni, senza stampa libera, in cui i cittadini sono stati obbligati ad andare a votare, come i dipendenti pubblici. Mi auguro che si trovi una via d’uscita e che l’Unione europea si adoperi in questo senso e i segnali che arrivano dall’Alto rappresentante Mogherini vanno in questa direzione.
Tornando al governo italiano, queste ultime settimane hanno visto inasprirsi i toni soprattutto dal versante 5 Stelle con la Francia. Non si rischia l’isolamento attaccando frontalmente un partner così importante?
C’è una cosa che a me dispiace moltissimo: l’Italia è un grande Paese. Lo scontro con la Francia ci dimostra ancora una volta quanto l’Unione europea faccia fatica ad avanzare senza l’Italia in un momento così faticoso, pensiamo alla Brexit. Mi sembra che questo governo non si comporti con la consapevolezza che l’Italia è un grande Paese. Non è solo un problema di isolamento in cui ci stanno confinando, ma soprattutto viene meno il sapere dove sta l’interesse nazionale, quanto peso può avere un Paese come l’Italia.
A cosa si riferisce?
Questo governo non ha chiaro, per esempio, che i progetti di riforma dell’Unione europea non vanno avanti senza l’Italia. Non ha chiaro che è ridicolo mettere a rischio i nostri rapporti con la Francia per una polemica sul Franco Cfa e sull’Africa. Nel momento che la Gran Bretagna uscirà dall’Unione europea noi – noi Europa – rimarremo scoperti sul tema della politica estera dei rapporti con l’Africa di un partner fondamentale, che era appunto la Gran Bretagna. Un Paese come l’Italia può rilanciare un’iniziativa sull’Africa a livello di Ue, che non è appunto la polemica sul Franco Cfa. C’è una grande e grave sottovalutazione su quello che l’Italia può fare, e di dove sta l’interesse nazionale. Trattano male il nostro Paese, si riempiono la bocca di “prima gli italiani”, ma poi in Venezuela oggi la politica del governo è “prima Maduro, così evitiamo di litigare tra di noi”. Il fatto che ci sia in Venezuela una comunità di 140mila italiani, che in Italia ci sia il Vaticano, ci dà una forza di mediazione che da questo governo viene totalmente ignorata. Con la Francia è la stessa cosa.
In che senso?
Questo governo si permette di fare delle sparate che hanno solo uno scopo di campagna elettorale, mentre ignora completamente la vicenda Fincantieri-Stx e Alitalia. La Francia è il nostro secondo partner per l’export, a noi conviene avere dei toni di questo tipo per il nulla? Io li accetterei sulla vicenda di Fincantieri-Stx, invece abbiamo fatto richiamare la nostra ambasciatrice per una questione che non esiste.
Pensa che ci sia una strategia dietro queste mosse?
Sicuramente c’è una strategia comunicativa. Mi ha preoccupato molto il fuoco di fila delle forze nazional-populiste sul Franco Cfa, perché credo ci sia una regia comunicativa. Non c’è una regia che riguarda l’interesse nazionale del Paese. Litighi con la Francia nel momento in cui firma un trattato con la Germania? Datti da fare con i Paesi piccoli, con i Paesi che si sentono esclusi dall’Unione europea, invece non si sta creando un asse alternativo. Si sta semplicemente cercando di isolare l’Italia. Non possiamo ogni giorno prendercela con un Paese diverso soltanto perché la narrativa dell’Italia sotto attacco dai cattivi paga in termini elettorali. L’Italia è un grande Paese e non mi rassegno a questa retorica. E mi faccia dire un’altra cosa.
Prego.
Ministro degli esteri, in tutto questo, non pervenuto. Sulle dichiarazioni di Di Maio e di Salvini, Moavero ha detto “siamo in campagna elettorale”. Ma non vale tutto, non si possono danneggiare gli interessi nazionali o intaccare delle relazioni storiche che certamente non sono state sempre facili, ma sono parte fondamentale del posizionamento italiano in Europa e nel mondo.
La strategia sugli sbarchi dei migranti di Matteo Salvini ha portato a una risposta della Germania, che ritirerà le sue navi dalla missione Sophia. È necessaria una revisione di questo tipo di programmi, così come dei trattati (penso al trattato di Dublino)?
Certo che l’Unione europea deve occuparsi del problema delle migrazioni. Noi abbiamo sempre detto che soluzioni nazionali a un problema globale non esistono, ma possono esistere soluzioni europee. La missione Sophia è frutto di questa logica, oltre a un grande risultato italiano. Con questa missione, per la prima volta in Europa è passata l’idea che i confini di uno Stato nazionale sono confini europei, e quindi tutti gli Stati europei hanno il dovere di impegnarsi a proteggerli. Questo era il suo senso, insieme al contrasto degli scafisti e alla missione umanitaria per evitare la morte di chi vuole arrivare in Europa via mare rischiando la propria vita. Questo era il cuore della missione Sophia che il governo italiano sta smantellando. Qual è la strategia? Non lo so, ma la conseguenza è sicuramente che se dovesse essere chiusa, a noi contribuenti italiani costerebbe, all’anno, tra i 130 e i 140 milioni di euro in più per continuare a pattugliare le nostre coste, evitare i naufragi e contrastare gli scafisti. Qual è la logica per cui noi facciamo il muso duro contro i Paesi europei che ci stanno dando una mano è davvero un mistero.
A proposito di migranti, sappiamo che molte delle partenze sono dalla Libia. Dalla conferenza di Palermo ad oggi, che passi avanti sono stati fatti dall’Italia nel suo processo di mediazione nella sua stabilizzazione?
Come opposizioni siamo due mesi che chiediamo un’audizione del ministro degli Esteri sul tema Libia, ma non è mai venuto, per cui io a questa domanda purtroppo non le so rispondere. Il governo si rifiuta di venire in Parlamento a fare una discussione franca sulla Libia e più in generale, e anche qui l’abbiamo chiesto, sui temi della crisi migratoria, ma anche su questo il governo è muto.
Come interpreta la situazione nel Paese, ad oggi?
Il giorno dopo la conferenza di Palermo le milizie di Tarhuna, che non sono state invitate alla conferenza di Palermo, vicine agli ambiti della fratellanza musulmana che sono stati limitati durante la conferenza perché si doveva dare spazio ad Haftar, hanno riconquistato l’aeroporto di Tripoli. Quindi il risultato della conferenza di Palermo è abbastanza misero, per non dire che ha creato un bel po’ di squilibri. Noi siamo preoccupati, perché non avendo il ministro che risponde e leggendo notizie di questo tipo ci chiediamo cosa stia succedendo all’interesse primario della politica estera italiana nel Mediterraneo, che è la Libia. Qualcuno ci ha messo la testa, o serviva solo Conte per fare una foto con Serraj, dopo quella fatta da Macron qualche mese prima?