Il Consiglio d’Europa, nel rapporto di monitoraggio sull’Italia, afferma tra l’altro che nel nostro Paese sarebbe in atto un aumento del razzismo e della xenofobia nella comunicazione pubblica, richiamando le preoccupazioni per i discorsi politici improntati all’odio verso i migranti e altri soggetti. Gli emendamenti presentati da esponenti della delegazione italiana sono stati respinti. Le parole utilizzate nel rapporto hanno offerto l’occasione per una polemica strumentale contro la politica migratoria del governo.
In verità, appare fuorviante centrare l’attenzione sui “sentimenti” espressi dai politici, sia perché è discutibile la loro interpretazione, sia perché quel che conta sono i contenuti politici della comunicazione. Comunque, anche a soffermarsi sui sentimenti, scontando l’opinabilità dell’analisi, i politici italiani che sostengono misure di contenimento dell’immigrazione di massa e irregolare, salvo casi estremi e isolati, non appaiono manifestare alcun sentimento di odio o di ostilità verso i migranti come persone o come gruppi etnici, culturali o altro; piuttosto preoccupazione e a volte avversione per l’immigrazione di massa e irregolare come evento problematico per il Paese. E in questo esprimono i sentimenti di larga parte della popolazione, che sta assumendo una posizione critica sul tema, in relazione ai profili di legalità e integrazione dei flussi migratori.
Vi è quindi il rischio che il ripudio dell’odio verso il diverso, come espressione di inaccettabile discriminazione umana, si estenda ai sentimenti negativi versi fenomeni sociali, cioè a posizioni politiche. Ed in effetti accade spesso che le polemiche sull’immigrazione si spostino sul piano emotivo, strumentalizzando i sentimenti a fini politici.
Quanto al supposto aumento del razzismo e della xenofobia nella comunicazione pubblica, bisogna distinguere. Vi sono casi in cui effettivamente si assiste a manifestazioni discriminatorie, come per i cori allo stadio contro giocatori di colore o “hate post” sui social, palesemente ostili verso gli stranieri in quanto tali: si tratta di espressioni deteriori del pregiudizio culturale e del disagio personale, da combattere e stigmatizzare, ma che hanno limitata rilevanza sociale e non toccano il livello istituzionale del Paese, che anzi le avversa e reprime. Diversamente, se si prende a riferimento il dibattito pubblico dei media e delle istituzioni, non ci sono obiettivi riscontri di impostazioni discriminatorie, anche da parte dei sostenitori di un contenimento dell’immigrazione di massa e irregolare. E non possono essere considerate razziste o xenofobe le posizioni che lamentano problemi o timori legati all’immigrazione, solo perché critiche sulla situazione migratoria. Questo significa che, o si attribuisce un peso abnorme a voci isolate oppure si ritengono razziste e xenofobe posizioni politiche sull’immigrazione.
Bisogna quindi intendersi sulle parole. Va preso atto che l’idea stessa che esistano “razze” umane non ha fondamento scientifico e non è sostenuta da alcuna persona di buon senso e tantomeno da esponenti della politica. Il che significa che l’accusa di razzismo non è ragionevolmente riferibile al concetto di razza, bensì alla discriminazione in base ad altre qualità umane, di natura etnica, somatica o socioculturale, inerenti le caratteristiche fisiche o l’appartenenza. Ma anche con questa precisazione, non si hanno obiettivi riscontri di discriminazioni: i flussi migratori sono costituiti da persone delle più diverse etnie, lingue, culture, appartenenze, caratteristiche somatiche; e le posizioni politiche favorevoli al contenimento dei flussi migratori non si basano su alcuno di questi elementi, bensì sulla dimensione dei flussi, sul rispetto delle regole, sul contrasto ai trafficanti, sui limiti di integrazione, a prescindere dal colore della pelle, dall’etnia, dalla lingua, dalla religione. In sostanza, le posizioni politiche contrarie all’immigrazione di massa e irregolare non possono essere qualificate discriminatorie o razziste, salvo casi estremi e irrilevanti politicamente, perché nulla hanno a che vedere con la condizione dei migranti come persone e appartenenti a gruppi etnici, culturali, religiosi o altro.
Del pari, il richiamo alla xenofobia appare incongruo poiché la questione immigrazione si centra proprio sul rapporto tra cittadini e stranieri, e quindi richiamare “l’estraneità” come elemento discriminatorio non ha senso, anche in questo caso salvo casi limite: il problema non è la condizione di straniero del migrante (che nessuno può contestare o penalizzare), bensì il rapporto tra la cittadinanza e l’arrivo di stranieri irregolari e in numero tale da avere effetti negativi sul piano socioeconomico e dell’integrabilità.
Tuttavia, sia per il razzismo che per la xenofobia, sono in atto tentativi di strumentalizzare le parole a fini politici, estendendone la portata oltre ogni ragionevole limite, fino a farvi rientrare qualsiasi azione o posizione che non tuteli prioritariamente i valori e gli interessi dei migranti rispetto a quelli dei cittadini e degli Stati.