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No all’autorizzazione, Salvini fa dietrofront. I Cinque Stelle (e il governo) a un bivio

Salvini

Con una lettera al Corriere della Sera il vicepremier Matteo Salvini rompe gli indugi ed emette il (suo) verdetto: l’autorizzazione a procedere per il processo sul caso Diciotti “va negata” dal Senato. “La valutazione del Senato è vincolata all’accertamento di due requisiti (ciascuno dei quali di per sé sufficiente a negare l’autorizzazione): la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o il perseguimento di un preminente interesse pubblico – spiega il ministro dell’Interno –. Il Senato non è chiamato a giudicare se esista il fumus persecutionis nei miei confronti dal momento che in questa decisione non vi è nulla di personale”. In secondo luogo, continua, “l’intero governo italiano, quindi non Matteo Salvini personalmente, ha agito al fine di verificare la possibilità di un’equa ripartizione tra i Paesi dell’Ue degli immigrati a bordo della nave Diciotti. Insomma, chiosa Salvini sul Corriere: “Rifarei tutto. E non mollo”.

La missiva apre ora un nuovo fronte che rischia di lasciare spiazzati i Cinque Stelle. Il ministro aveva in un primo momento detto di esser tentato dal processo. La linea del Movimento, dettata dal vicepremier Luigi Di Maio in un’intervista con Massimo Giletti a Non è l’Arena, ha finora seguito due binari. A generici richiami alla “responsabilità politica condivisa” di tutto il governo sullo stallo che per dieci giorni ha tenuto i migranti sulla nave della Guardia Costiera, si è affiancato l’annuncio di un voto favorevole all’autorizzazione a procedere, perché è “Salvini che ha detto di voler andare a processo”. La coerenza, in politica, paga. Il Movimento ha già perso terreno rispetto all’alleato di governo venendo meno ad alcuni tratti caratteristici del suo dna, Tap e Ilva sono solo la punta dell’iceberg. Voci autorevoli del Movimento, da Di Battista a Buffagni, dalla Lezzi a Toninelli, ripetono in tv il mantra della responsabilità di governo sul caso, ma di fatto fanno trapelare l’intenzione di un sonoro sì all’autorizzazione.

Il ministro delle Infrastrutture oggi sul Corriere trova (a suo modo) la quadra. “È stato Salvini, mi pare, a chiedere di andare in giudizio – dice Toninelli, salvo precisare poco dopo che “sarà il governo stesso a dire in modo compatto che quella era una decisione di tutto l’esecutivo”. Premesso che, dice la Costituzione (art. 95), i ministri hanno una responsabilità individuale degli atti dei loro dicasteri, resta da definire come la compagine pentastellata vorrà assumersi la responsabilità politica (oggettiva) del caso Diciotti. La soluzione prospettata da Di Maio – i ministri testimonieranno a favore di Matteo Salvini – ha il sapore di una scorciatoia. Quali alternative? Autodenunciarsi davanti alla procura di Catania? È una soluzione che tenta il deputato M5S Emilio Carelli, che in controtendenza con i colleghi di partito spiega come “Conte e Di Maio si dovrebbero ricordare di essersi associati a questa decisione e chiedere a loro volta di essere processati”. L’unico altro piano è accogliere l’appello di Salvini negando l’autorizzazione e assumere le conseguenze. Il momento è delicato, il fronte pentastellato è diviso sul da farsi, c’è chi teme che un sì al Senato fianco a fianco al Pd si trasformi in un clamoroso autogol, a soli tre mesi dal checkpoint delle elezioni europee.

I leghisti, invece, sono compatti intorno al “Capitano”. Questa mattina il sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi, ospite ad Agorà su Rai 3, ha dissipato ogni dubbio: “Ci aspettiamo che i Cinque Stelle votino no all’autorizzazione”. Gli fa eco il ministro della Famiglia Lorenzo Fontana, amico stretto del segretario, che senza troppi giri di parole ha legato la tenuta dell’esecutivo alla decisione del Movimento. Persino Umberto Bossi ha rotto il silenzio per far muro con Salvini, con cui certo non corre buon sangue. “Mi preoccupa che un Paese democratico possa mandare in tribunale un ministro dell’Interno”, ha detto il Senatùr.

La palla passa ora alla giunta per le Immunità al Senato, che questo mercoledì inizierà l’esame del caso Diciotti. Maurizio Gasparri (Fi) presenterà una relazione che dovrà essere sottoposta a un voto palese entro 30 giorni, poi il voto (anch’esso palese) al Senato. Al momento i numeri nella giunta sono a favore per l’autorizzazione a procedere. Si opporrà (e non potrebbe essere altrimenti, vista la storia politica del leader) Forza Italia, assieme a Fratelli d’Italia e ovviamente la Lega. In tutto sono nove dunque i senatori che diranno no alla richiesta del tribunale, contro 12 voti a favore (M5S 7, PD 4 e Leu 1).Un punto interrogativo campeggia su due outsider che potrebbero fare da ago della bilancia: il fuoriuscito del Movimento De Falco, ora nel Gruppo misto, e l’esponente del Partito popolare sudtirolese (Svp) Meinhard Durnwalder.



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