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Padre Spadaro legge Bergoglio: anche nei media cattolici manca la compassione

“Il Papa si rende conto che nel mare dei siti, blog e newsletter sta venendo meno la compassione. C’è una sorta di negazionismo della verità, c’è una comunicazione che scomunica. Non crea più comunione. È veramente paradossale che lo dica un Papa, in questo senso profetico. Anche quando si condanna, ci dice, non si deve mai spezzare la comunicazione, la possibilità di confronto. Questa riflessione, a mio avviso, ha un valore politico”. Incontrando a Panama i vescovi del centro-America Papa Francesco aveva infatti detto: “mi preoccupa molto come la compassione abbia perso la sua centralità nella Chiesa. Anche gruppi cattolici l’hanno persa o la stanno perdendo, per non essere pessimisti. Anche nei mezzi di comunicazione cattolici la compassione non c’è”.

Ci tiene allora a sottolineare questo passaggio il direttore di Civiltà Cattolica padre Antonio Spadaro, “il Papa che si lamenta della denuncia dell’eresia…”. Incontrando a Roma i giornalisti della sede della Federazione Nazionale della Stampa Italia, il gesuita si è intrattenuto in un dialogo senza barriere con i giornalisti, venuti a loro volta a portare le proprie considerazioni sull’attuale contesto mediatico e politico, sull’accensione dei toni talvolta sempre più marcata e sugli scontri che in questi contesti si autoalimentano tra gli stessi esponenti della comunicazione, creando in più di una circostanza un ambiente invivibile, viziato da polemiche e contrapposizioni, irrespirabile tanto nei toni quanto nei contenuti.

“Il fatto, scriveva Bergoglio nel 2010, è che la gente, a parte le élites, non si sente cittadina ma abitante. Il divario tra i popoli e le nostre forme attuali di democrazia è stato l’oggetto dell’incontro del Papa con i movimenti popolari nel 2010. La sfida è per il Papa in questa differenza e nella necessità di sentirsi protagonista. Il dilemma è se operare per costruire o per distruggere. Vale anche per la comunità ecclesiale: il senso dell’ecclesia in alcuni contesti nazionali sta diventando preoccupante. Si vuole imporre la propria idea ma il senso dell’ecclesialità è sparito”, è l’analisi a tutto tondo di Spadaro. Un discorso che potrebbe essere replicato allo stesso identico modo per il contesto delle istituzioni italiane, dove tra i discorsi del Pontefice e quelli del presidente della Repubblica Sergio Mattarella si avverte, in certe occasioni, una assoluta specularità di contenuti.

“A volte Francesco e Mattarella fanno discorsi speculari senza avere contatto tra di loro. Mattarella ha parlato dell’esigenza di sentirsi e riconoscersi come comunità di vita, e della repubblica come il nostro destino. Pensarsi dentro un futuro comune da costruire insieme”, spiega Spadaro. “Il Papa scrive esattamente le stesse parole”. Anche se il punto della questione, inutile girarci attorno, è politico ma soprattutto umano. “Nel momento in cui una persona umana affoga e questo diventa un problema politico c’è un fatto gravissimo”, commenta lapidario il gesuita. “La retorica politica oggi sta sollecitando forze potenti ma forse non ancora del tutto emerse dal fondo dell’opinione pubblica”, è l’analisi, considerando il fatto che “il problema delle fake news distorce i fatti ma ha un impatto diretto nelle nostre percezioni, cambia il fatto e distorce la società”. E che invece, per quanto riguarda il Pontefice, “lui, come va di moda dire, tira dritto per la sua strada”. E allora accade che “l’unico modo per bloccare il Papa è minare la sua credibilità”.

Spadaro già nei primi anni in cui il web interattivo e dei social media stava prendendo sempre più diffusione, ovvero intorno al 2010, scrisse un libro più che anticipatore a proposito del tema della cyber-teologia, ovvero su come le tecnologie cambino la vita cristiana e su come invece all’inverso la fede in Gesù Cristo può cambiare l’uomo immerso in un ambiente impregnato e plasmato dalle tecnologie, o meglio come può utilizzare queste ultime per diffondere al meglio il messaggio evangelico.

“L’ambiente mediale è così pervasivo che non è distinguibile dalla vita quotidiana, ha detto il Papa. Lo stesso definì Benedetto XVI quando abolì la parola virtuale, dicendo che la rete è al contrario un ambiente reale ma diverso dall’ambiente fisico. Francesco dice che non esistono più mezzi di comunicazione ma che la rete crea ambienti. Siamo infatti immersi in un ambiente di comunicazione, non si tratta quindi di usare strumenti. È un ambiente non separato ma integrato nella vita quotidiana, la comunicazione non è un mestiere ma una condizione di vita. Quando parliamo di comunicazione in rete stiamo parlando di relazione”, riflette allora il gesuita tra sè e sè, condividendo il suo pensiero con gli operatori dei media.

“La rete risponde ai bisogni di conoscenza e di relazione, che non sono bisogni nuovi dell’essere umano, ma che sono una realtà che da sempre fa parte della nostra umanità. I social network si distinguono dal web 1.0 perché danno espressione alle relazioni tra individui: su Facebook non emergono le persone ma le relazioni tra persone”. Il concetto chiave in rete allora “non è la presenza ma la connessione e la relazione. Posso dire quello che voglio, ma se non ho amici non comunico niente”. Questo perché “la comunicazione oggi è condivisione. Lo stesso concetto cristiano di prossimo è in crisi, è in fase di mutazione: quando postiamo una cosa sui social immaginiamo che gli altri la vedano, che siano pronti a raccogliere il nostro update”. Una serie di contesti che portano alla considerazione che “la nostra comunicazione relazionale è disseminata in vari spazi”, e che “le reti servono a creare contatti ma non radici, come dice il Papa”.

Allora quanto si arriva ad osservare è che “la domanda di democrazia diretta mette in crisi la democrazia rappresentativa, si sente simpatia per improvvisazione democratica che crea appartenenza”. Che “la crisi riguarda la fiducia piuttosto che i fatti”, e che “la consapevolezza illuminista che la verità stesse nelle mani di alcuni esperti viene attaccata, nel momento in cui è stata messa in dubbio la loro moralità lo stesso è accaduto con la loro autorità”. Perciò “non possiamo fare finta che la rete non esista, ma capire cosa c’è sotto il consenso nel mondo digitale, che ci piaccia o meno. La comunicazione digitale ha un peso sempre più forte nel sentirsi cittadini”, è la chiosa di Spadaro, mentre il problema diventa “come fare a partecipare senza cadere in scorciatoie demagogiche?”, che cioè “l’appartenenza rischia di diventare un prodotto della comunicazione”.

Le stesse preoccupazioni Papa Francesco le ha espresse di recente anche nel messaggio per le comunicazioni sociali, diffuso pochi giorni prima della partenza per Panama dalla Sala stampa vaticana. Un testo dove Bergoglio, già con la mente e con il cuore rivolto ai giovani in attesa di incontrarlo nel centro-America con il loro carico di gioia e di speranza, di sana irrequietezza e di un’alterità entusiasta e viva, spiegava che i cristiani si riconoscono “tutti membra dell’unico corpo di cui Cristo è il capo”. Un fatto, del quale non è permesso avere incertezza, ma solamente dubbi che possano accrescere la fede, che, spiegava Francesco, “aiuta a non vedere le persone come potenziali concorrenti, ma a considerare anche i nemici come persone”. Portando a una situazione in cui “non c’è più bisogno dell’avversario per auto-definirsi, perché lo sguardo di inclusione che impariamo da Cristo ci fa scoprire l’alterità in modo nuovo, come parte integrante e condizione della relazione e della prossimità”.

La questione è quindi “come la rete plasma una mentalità e un modo di vivere la democrazia, nella sua dimensione cognitiva, come cambia il nostro modo di stare insieme e di fare politica”. “Considerando la rete come una cosa per adolescenti non ci siamo resi conto delle sue potenzialità”, è la considerazione finale del gesuita, preoccupato anche per via degli attacchi dalla stampa avversa per il suo ruolo, e che toccano fino la sua persona. Ma di una preoccupazione “che non dà spazio alla tristezza ma all’azione, alla voglia di fare qualcosa e al dialogo”, spiega con un sorriso. “Che cos’è la compassione se non sentire come unità il genere umano? Se perdiamo il sentimento della nostra comune umanità ci rimane solo la paura e l’odio. Senza compassione il legame diventa link, collegamento, senza contatto o radici. E il rischio è di comunicare senza compatire”.

Per questo, con l’eco delle parole di Francesco sempre in mente, la conclusione del direttore della rivista dei gesuiti è che “dobbiamo liberarci dalla colonizzazione ideologica dei cervelli, dei cuori, delle anime e delle menti, che ci porta a vedere in un povero uomo che affoga un pericoloso invasore. Altrimenti torniamo ai sentimenti che hanno dato fondamento alle due grandi ideologie che hanno distrutto il novecento, il nazismo e il comunismo”.


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