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Qual è la posizione italiana sulla crisi in Venezuela?

Ieri, durante una riunione tra ministri degli Esteri dell’Unione europea che si svolgeva a Bucarest, la Svezia ha proposto di votare una mozione di sostegno a Juan Guaidó, il presidente dell’Assemblea nazionale venezuelana che si è autoproclamato capo di stato per mettere fine al regime chavista di Nicolàs Maduro, che ha affamato il Paese. La mozione – che era un’accettazione di Guaidó, ma sarebbe stata molto simile a un riconoscimento formale della sua autorità – è stata bloccata da quattro paesi: Italia, Grecia, Austria e Finlandia.

Guaidó ha un ampio sostegno dalla sua parte, a cominciare da quello che gli Stati Uniti gli hanno fornito subito, poche ore dopo la sua auto-proclamazione. Regno Unito, Francia e Germania, oltre a Brasile, Argentina, Colombia e molti altri paesi sudamericani, lo hanno ufficialmente riconosciuto come presidente del Venezuela. Ma ha anche una forte opposizione: Russia, Cina, Turchia e Messico guidano invece il gruppo di quelli che lo ritengono illegittimo, riconoscendo il governo Maduro come unico interlocutore.

L’Italia ha una visione più complessa, o complicata, articolata, della situazione: arriviamoci per gradi. Giovedì, quando al Parlamento europeo s’è votato per il riconoscimento di Guaidó, i rappresentanti di Lega e Movimento Cinque Stelle si sono astenuti, insieme ad alcuni del Partito Democratico, mentre Forza Italia ha votato in modo compatto a favore del documento – passato – a sostegno del nuovo presidente venezuelano. Alcuni leader politici e membri del governo di Roma hanno preso posizioni sulla vicenda, ma non è chiaro quanto alcune di queste dichiarazioni siano a titolo personale, visto che non segnano una traiettoria unica e le due anime che hanno firmato l’accordo per costruire l’esecutivo italiano sembrano un po’ divise anche su questo dossier.

Per esempio, alla Farnesina ci sono due sottosegretari, uno in quota Lega, Guglielmo Picchi, e un altro in quota M5S, Manlio Di Stefano, che hanno fatto dichiarazioni pubbliche diverse. Mentre Picchi dice che l’Italia non riconosce le elezioni presidenziali che hanno fatto vincere Maduro, il quale “deve lasciare”, Di Stefano ha fatto sapere che a suo modo di vedere l’Italia non riconosce Guaidó e che Roma non sosterrà “nessuna posizione di ingerenza sul Venezuela”, perché “nessuno vuole una nuova Libia e la eviteremo“. C’è poi un terzo sottosegretario agli Esteri, Ricardo Merlo del Maie (il Movimento Associativo Italiani all’Estero) che dice su Twitter “Maduro il tempo è scaduto”, ricordando la sua infanzia in Argentina, durante “una sanguinosa dittatura”, quando “pregavo perché ci fosse l’ingerenzadella comunità internazionale che venisse a liberarci”.

L’intermezzo lo ha creato personalmente Guaidó, che in un’intervista concessa al TG2 ha replicato a Di Stefano dicendo che da quello che ha dichiarato “evidentemente c’è una scarsa conoscenza di ciò che sta accadendo” in Venezuela, dove “i giorni si contano in vite” (70 assassinati in una settimana dalle Faes, le forze speciali della polizia di regime, e 700 persone in carcere, 80 minorenni addirittura bambini, sono i numeri che ha dato il venezuelano). Guaidó ha invitato il sottosegretario a “informarsi”, aggiungendo che “una Libia non è possibile in Venezuela perché ciò che sostiene il regime è assolutamente allineato non con un’ideologia ma con il denaro, denaro che non hanno più”. “Invitiamo l’Italia a fare la la cosa corretta perché i giorni qui si contano in vite che si perdono”, ha detto ricordando l’importanza del riconoscimento ottenuto dall’Europarlamento.

Ieri Picchi ha aggiunto un dettaglio in più, dicendo che “la posizione del Governo Italiano su Venezuela è quella espressa da Giuseppe Conte e dal ministro degli Esteri Enzo Moavero, e si riflette in quella della UE”, ossia pro-Guaidó. “Altri che non hanno competenza geografica e politica sul Venezuela pur rispettando [la] loro opinione parlano a titolo personale”, ha detto Picchi (forse si riferiva a Di Stefano? Ndr). Il leghista poi s’è rivolto al presidente della Camera, Roberto Fico: “No a terza via”, che Fico evocava in un post sulla sua pagina Facebook. “Una terza via, che si ponga fuori dalla logica di contrapposizione Maduro-Guaidò, e che metta al centro le condizioni di quegli ampi settori popolari oggi stremati o che sono stati costretti a fuggire”, diceva il presidente.

Tra i due leader politici delle due forze di governo, l’unico a esporsi è stato il grillino Luigi Di Maio, che ha detto in Aula: “Visto che siamo già stati scottati dalle ingerenze in altri Stati non vogliamo arrivare al punto di riconoscere soggetti che non sono stati votati. Per questo non riconosciamo neppure Maduro e per questo l’Italia continua a perseguire la via diplomatica e di mediazione con tutti gli Stati per arrivare ad un processo che porti a nuove elezioni ma senza ultimatum e senza riconoscere soggetti che non sono stati eletti. Il cambiamento lo decidono i venezuelani: dobbiamo creare i presupposti per favorire nuove elezioni”.

In quello che dice il vicepremier e bis-ministro c’è un passaggio critico: il non riconoscimento di Maduro e la richiesta di nuove elezioni è esattamente quel che invoca Guaidó (e i suoi sostenitori), il quale s’è autoproclamato perché le elezioni che hanno riportato alla presidenza Maduro nel 2018 sono considerate frutto di brogli e pressioni del regime – e così sono viste anche da diversi paesi, come gli Stati Uniti, che non le hanno mai riconosciute come valide. Per altro, val la pena ricordare, che Guaidó ha usato un presupposto costituzionale per il suo atto, ossia quello che prevede che nel caso di elezioni non regolari e tentativi di usurpazione del potere la guida del paese passi ad interim in mano al presidente dell’Assemblea nazionale.

Tirando le somme, a quanto pare la linea che prevale è quella esposta da Di Maio e Picchi, che trova sponde anche in Conte: l’Italia è “molto prudente” e non ritiene “opportuno dare investiture che non sono passate da un processo elettorale”, ha commentato il premier. Che significa? Significa che l’Italia vuole nuove elezioni senza ultimatum per il Venezuela, e dunque non riconosce Maduro, ma non vuole formalmente riconoscere nemmeno Guaidó, per evitare un’ingerenza troppo forte (anche se Guaidó è implicitamente riconosciuto dalla richiesta di nuove elezioni, ndr).



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