Gli esperti di marketing hanno le idee chiare su come conquistare il consenso del consumatore e trasformarlo nell’acquisto di un bene o di un servizio. La prima regola è sfruttare la natura umana: le persone non comprano solo un prodotto ma anche l’emozione che suscita. E le emozioni più forti sono quelle legate ai sentimenti, al cuore, al proprio vissuto personale. La seconda regola è comunicare l’emozione, diffonderla in ogni modo.
E per farlo, ai tempi di oggi, sono fondamentali i media e i social, da utilizzare con i video e con un linguaggio semplice e assertivo, prestando attenzione alla comunicazione non verbale, ai gesti, al tono della voce, all’espressione del volto. Il Movimento 5 Stelle mette in scena la versione più avanzata del marketing politico italiano, spostando il baricentro della politica sempre di più verso la conquista emotiva del consenso.
Secondo la comunicazione 5 Stelle siamo a un passo dal boom economico e il Paese sta per iniziare un anno bellissimo, durante il quale verranno alla luce provvedimenti del governo che miglioreranno la vita delle persone, toccheranno il cuore della gente, faranno innamorare, renderanno l’Italia più felice. E la promessa di un futuro migliore è veicolata in maniera capillare sui social, riecheggia sui media e prende corpo nell’immagine di un gruppo di giovani allegri e volitivi, impegnati a cambiare l’Italia con il sorriso sul volto, facendosi forti di slogan e certezze granitiche.
Fino al punto che la propaganda diventa l’identità stessa del Movimento. Poco importa che dopo il decreto Dignità si siano persi migliaia di posti di lavoro. Che l’opposizione alle grandi opere contribuisca a deprimere l’economia nazionale e a mandare il Paese in recessione. Che le divisioni interne al governo e le scelte di politica economica aumentino la sfiducia e con essa lo spread. Che la politica estera abbia isolato l’Italia nel contesto europeo e internazionale, come non si era mai visto nel dopoguerra, fino a giungere all’isolamento assoluto in Europa sulla vicenda Venezuela. Che la spinta populista continui ad alimentare la contrapposizione sociale e la delegittimazione della competenza.
Tutto questo poco importa perché la versione italica del populismo europeo non può essere diversa, almeno per ora, perché risente dei suoi padri fondatori, Grillo e Casaleggio: il primo, un grande comunicatore, capace di ammaliare le folle con pochi e chiari slogan contro il sistema, senza sfumature o incertezze; il secondo, con il figlio d’arte, professionista della comunicazione e del marketing, inevitabilmente condizionato dalla sua impostazione tecnica e culturale.
Inoltre, la classe dirigente del movimento è giovane e inesperta, e tende a fare affidamento sugli slogan che l’hanno premiata, facendoli diventare quasi dei dogmi, piuttosto che sulla faticosa conquista del consenso nel dibattito sulle cose concrete. E il Movimento deve anche tener conto degli estremismi presenti al suo interno, indisponibili a mettere in discussione le parole d’ordine del verbo grillino.
Così lo spread si riaccende, il divario tra la propaganda e la realtà si amplia sempre più. E la tendenza si accentua, in prospettiva delle prossime elezioni europee. La Lega non sembra in grado di condizionare più di tanto i 5 Stelle, di metterli di fronte ai fatti, spingendoli ad evitare una continua campagna elettorale. Gli elettori grillini potrebbero farsi sentire, potrebbero chiedere ai propri eletti maggior senso di responsabilità, potrebbero contrastare le frange estremistiche del Movimento; ma, per il momento, non si hanno significativi riscontri di tale possibilità.
La prospettiva non è rosea: stiamo entrando in recessione, i tempi stringono, le imprese sono preoccupate. Se non si accantonerà la propaganda a favore della responsabilità, prestando attenzione alla concretezza, ai dati economici, ai vincoli di bilancio, alle politiche del lavoro, alle aspettative delle imprese, al sostegno alla domanda, ai rapporti internazionali, il Paese entrerà in una vera crisi politica, sociale ed economica.