Nader Akkad, siriano, a lungo imam di Trieste e oggi vice-presidente dell’Ucoii ha seguito con emozione quanto è accaduto in queste ore a Abu Dhabi. Che impressione si è fatto di un evento da molti definito epocale?
Molti giornali arabi oggi parlano del “papa della pace”, e questa valutazione riporta alla memoria gli inusuali applausi che nel 2017 quattrocento imam riuniti ad al-Azhar gli tributarono. Anche quello fu un incontro storico, ma questo di Abu Dhabi va oltre perché ha saputo porre al centro qualcosa di più universale del dialogo, la fratellanza, lo spirito della nuova fratellanza. È stato certamente un momento di dialogo altissimo, ma non solo di dialogo interreligioso, direi di dialogo religioso, cioè ponendosi davanti a Dio, nel nome della fratellanza umana. C’è in questo un messaggio universale che vale ovviamente anche per la terra dell’Islam e la sottolineatura della comune cittadinanza, comune e pari cittadinanza in Paesi di tutti i cittadini, contenuta nella dichiarazione congiunta e nelle parole dell’imam Ahmad Tayyeb è enorme. Cittadini a pieno titolo e pieno diritto, non minoranze, questo è decisivo, per tutti per vivere davvero la spiritualità della fratellanza come valore religioso, civile e nazionale.
Il grande incontro di Assisi voluto da Giovanni Paolo II ha segnato una tappa miliare, epocale per il dialogo e il vivere insieme. Ma Abu Dhabi sembra segnare un nuovo passo avanti altrettanto importante, visto che si è aperto anche ai non credenti. È così?
Questo incontro è storico e non solo per la ricorrenza degli ottocento anni dal viaggio di San Francesco e ora il nuovo viaggio del primo papa che si chiama Francesco. La via del dialogo così ora arriva in un nuovo contesto, quello della fratellanza. Il tuo fratello non è più il tuo fratello nella fede, ma nell’umanità. Siamo a un nuovo umanesimo, un umanesimo integrale e universale. Qui la fratellanza non poteva riservarsi al fratello nella fede o credente, ma ognuno è tuo fratello e quindi l’altro diviene veramente parte di noi, della nostra crescita. Lo spirito di Assisi che ci ha fatto fare un salto avanti fa ora un balzo in avanti esso stesso, diviene uno spirito universale che ingloba ovviamente i non credenti. Il mondo divenuto un villaggio globale deve conoscere tutti i suoi volti e tutte le sue culture nelle quali non c’è frattura ma reciproco accrescimento. Siamo davanti a un nuovo universalismo.
Gli arabi cristiani sapranno liberarsi dalle loro paure e scegliere di essere fino in fondo cittadini, non minoranze?
Questo è un percorso che ha due vie: un’azione interna che deve nascere e crescere nel loro cuore per sentirsi davvero cittadini, ma anche un’azione da parte dei musulmani e dei governi che sappia far percepire questa condizione come accettata realmente, desiderata anche dai musulmani e dai governi. È un doppio percorso che non può scindersi, l’uno richiede l’altro e noi abbiamo bisogno di questo, perché i musulmani non possono vivere da soli. Ovviamente i governi, questi governi, devono operare per non far sì che i cristiani siano vissuti come ospiti. L’esempio di Papa Francesco e dell’imam Ahmad al-Tayyeb ci dimostra che è possibile. Il cammino sarà lungo, serve voglia e determinazione, ma collaborando sarà possibile.
Ahmad Tayyeb a suo avviso ha seguito o ha accompagnato Papa Francesco?
Io credo che l’imam Ahmad Tayyeb abbia svolto un ruolo molto importante, per la sua caratura e per la scelta di accogliere Papa Francesco come leader islamico universale, non egiziano. Nella sua caratura, nella sua determinazione e nella sua opera ho visto in carne ossa quel che ad Assisi disse anni fa Zygmunt Bauman: “Dobbiamo insegnare ai nostri figli a lottare per il dialogo”. Lui lo ha fatto, ha dimostrato con quel che ha detto e quel che ha fatto cosa significhi lottare per il dialogo. A noi, i suoi figli, apprendere e procedere.