Il sistema strategico a tre della Siria, con la minore aggiunta degli Usa e dei suoi ormai remoti alleati sul campo, è in fase di netta trasformazione. E ciò anche per i chiari segnali che gli Stati Uniti mandano a tutti; e che riguardano in particolare un loro rapido abbandono del campo siriano. Trump, non del tutto a torto, afferma che la Siria “è, da sempre, una vecchia amica” della Russia, e quindi la questione siriana è nell’area di interesse storico di Mosca. Già, ma se tutti ragionassero così, la Cina, alla metà dell’ottocento, si sarebbe ridotta alle sue sole regioni costiere. Nella geopolitica non si parla con la logica di un club di golf. E, comunque, se Washington non tiene più alla Siria, la Siria e i suoi equilibri si occuperanno ancora degli americani. Gli Usa si troveranno infatti subito imbottigliati nel loro Centcom di Tampa, che non potrebbe più operare direttamente ed efficacemente né in Africa del Nord (con il jihad in corso in Africa Centrale e in quella mediterranea) né in Iraq e in Afghanistan, dove si stanno realizzando le comiche finali di un accordo tra i contingenti Usa e i Taliban. Si, proprio quegli “studenti” islamici che gli alleati pakistani, apparentemente fedelissimi degli americani, mandavano, addestrati dai loro ottimi Servizi, proprio a combattere gli Usa. Gli americani erano però, allora, dei ferrei alleati dell’India; e quindi impedivano la profondità strategica al Pakistan, che ne aveva assoluto bisogno per respingere la prima salva nucleare di Nuova Delhi. E rispondere alla seconda. E nemmeno gli Usa potrebbero da oggi più utilizzare l’Al Udeid Command situato in Qatar, quel Caoc che gli stessi Usa hanno messo in difficoltà, accodandosi all’Arabia Saudita contro il Qatar “terrorista” e quindi, con un bel salto logico, “amico dell’Iran”. Dei sauditi, ne vogliamo parlare? E gli americani, così, si sono imbottigliati anche nella loro bella e recentissima base di Al Udeid, controllati da tutte le forze arabe in campo come se fossero dei bambini iperattivi.
Ormai, il gioco in Siria è quindi solo a tre: Iran, Israele, Russia. Mentre, peraltro, il rinato “califfato” sirio-iraqeno si riprende alcune zone intorno a Deir Ezzor e minaccia direttamente le aree curde e delle maggiori città siriane della zona. Altra variabile pazza, questa, che potrebbe far rientrare in gioco gli Usa e allungare i tempi di una stabilizzazione del territorio siriano, che è proprio quello che gli uomini del “califfo” vogliono. Ma, intanto, i due gruppi curdi si sono alleati con la Siria di Bashar el Assad, e sanno ormai che il vero player degli interessi Usa in Siria è la Turchia. Iran, Israele, lo ripetiamo, e Federazione Russa. Questo è il cielo stellato sopra la Siria. Da ciò deriva anche una trattativa molto più stretta di prima, sul controllo del territorio siriano tra Gerusalemme e la Federazione Russa, gli unici veri attori regionali interessati al controllo dell’intero territorio siriano. Ed è qui che l’intelligence e la politica di sicurezza iraniane si insinuano, con buona sapienza tecnica e la capacità di giocare bene il proprio peso politico. Minore di altri, in Siria, il peso dei Servizi iraniani, ma non certo trascurabile. A Mosca, sia ben chiaro, non interessa poi molto che l’Iran si prenda la sua linea continua di collegamento tra Teheran e le coste centrali e meridionali libanesi. Ma era una idea di ieri, oggi la questione è molto più complessa. Oggi, la Federazione Russa non può non mettere sul piatto delle sue scelte strategiche mediorientali gli interessi israeliani. Ma, se l’Iran si prende la sua rete di controllo evoluta ai confini della Valle della Bekaa-Golan, che Gerusalemme si è ripresa nel 1975; allora la Russia non tiene più la Siria, che avrà un territorio immenso, coperto dalle linee iraniane a sud, per liberarsi dal controllo delle Federazione Russa per poi cadere nelle spire iraniane, che non aspettano altro.
L’Iran non deve, ed è anche un interesse di Mosca, avere basi o aree di rispetto stabili in Siria. Guai per Mosca e Gerusalemme insieme, se ciò accadesse. E non bisogna nemmeno dimenticare il livello di pressione che l’asse libanese-iraniano sopra (e dentro) la Bekaa-Golan potrebbe svolgere sulle basi russe di Latakia e di Tartus, sul Mediterraneo, oltre alla tensione di Teheran sulle strutture russe di Humeinim, ovvero su un aeroporto, infine nella base T4, (Thiyas) nel governatorato di Homs, ad est di Palmira. E non dimentichiamo nemmeno la base, sempre russa, di Sharyat, presso la 50° brigata aerea, nell’area di Homs. Il “corridoio”, come lo chiamano oggi le “Guardie della Rivoluzione” iraniana, va dall’Iraq verso la Siria, proprio verso Deir Ezzor. E si tratta di un vero e potente obiettivo strategico, per tutto l’Iran, che non ha ma vuole assolutamente uno sbocco sul Mediterraneo, sotto il suo pieno controllo e non sotto la ormai irrilevante organizzazione della sicurezza libanese. Il tutto va fino alle coste meridionali del Libano, passando naturalmente, oltre che per la capitale, anche per Deir Qanun, Kafra e, infine, il fiume Litani. Con un collegamento parallelo tra Beirut e il comando Hezb’ollah del Litani, comunque. Quindi, oggi il pensiero strategico di Mosca è semplice: impedire l’espansione ulteriore dell’Iran in Siria, evitare soprattutto la permanenza del conflitto in quell’area, mantenere infine buoni rapporti con Israele. Infatti, e questo qui ci interessa particolarmente, la Federazione Russa ha disattivato parzialmente le sue difese missilistiche S-300 che operano, e lo faranno anche in futuro, in Siria. Gli S-300 sono una sequenza di missili terra-aria a lungo raggio, di fabbricazione russa.
Operano, lo si è infatti visto in Siria, con molta efficacia contro aerei, veicoli da crociera e missili balistici. I suoi radar sono capaci di inseguire oltre 100 obiettivi contemporaneamente, potendone ingaggiare in battaglia, sempre simultaneamente, dai 24 ai 36. Le gittate dei missili dell’apparato S-300 vanno dai 150 ai 200 chilometri, con funzionamento del tutto automatico. Cosa vuole fare quindi Teheran? In primo luogo, che la Russia non deprivi selettivamente i sistemi S-300 qualora si tratti di aerei, missili, vettori che arrivino nelle aree del Corridoio o della Bekaa-Golan dalla parte di Israele. Inoltre, alcuni tecnici dei Servizi iraniani hanno notato una forte correlazione tra l’organizzazione delle forze di attacco israeliane e i tempi e le posizioni dei nuovi punti di lancio di Hezb’ollah e dei Pasdaran. Infatti la scorsa settimana, ovvero alla metà di gennaio, Mosca ha annunciato che l’addestramento delle truppe siriane all’uso degli S-300 sarà terminato a marzo, e, in quel mese, le batterie degli S-300 dovrebbero divenire operative. Ma, probabilmente, “operate” selettivamente, e comunque sempre sotto il controllo immediato e attivo del Comando Supremo di Mosca. L’Iran, però, spera nel miracolo: ovvero che le armi di un quasi-alleato di Israele, la Russia che sta oggi in Siria, divengano la migliore difesa da attacchi sul “Corridoio” iraniano-libanese, da parte proprio di Israele. L’obiettivo ottimale sarebbe, per Teheran, l’attacco doppio e simultaneo tra Bekaa-Golan e Litani, coordinato da azioni a sud del confine israeliano mantenute dal Jihad Islamico palestinese. Ne parleremo alla fine di questo documento. E non dimentichiamoci infatti, qui, delle tante piccole organizzazioni di quella galassia radicale palestinese che non è più ricollegabile con l’asse sunnita, che non vuole infatti più infastidire Gerusalemme. E questo accade proprio in funzione anti-iraniana. Si tratta di un vasto asse politico-militare che è orfano soprattutto di Hamas, organizzazione ormai criminal-affarista, dedita ancora a raccogliere fondi tra i più creduloni e ingenui “democratici” occidentali. O peggio. Due Nord e un Sud islamisti, con un nuovo padrone, l’Iran, coalizzati simultaneamente contro lo stato ebraico. Ecco il sogno strategico della Repubblica sciita dell’Iran. Mosca vuole comunque ancora fare azioni in comune con l’Iran, ma sempre fuori dal campo siriano. E riconosce apertamente, fin dall’inizio del conflitto russo in Siria, nel 2015, il ruolo centrale di Israele.
La Russia, vuole, infatti, la botte piena (gli interessi comuni, soprattutto petroliferi, con l’Iran) e la botte ubriaca (la piena e affidabile alleanza con Israele). Mosca vuole fare ancora molti affari con Teheran nel quadrante venezuelano, dove entrambi gli attori operano con grande attenzione. Ma la Russia vuole anche collaborare con l’Iran per le iniziative recenti e future di pace della Lega Araba, che dovrebbero creare un nuovo clima di stabilità in tutto il Grande Medio Oriente. Sarebbe bello, a crederci. L’Iran, invece, stando anche alle interlinee dei documenti ufficiali degli incontri con la Russia, vuole subito utilizzare il “corridoio” per un attacco diagonale contro Israele, poi acquisire la Siria come grande parte di un territorio sciita, operare come alleato della Russia solo e sempre in termini petroliferi, tra Qatar, Bahrein e Emirati, che sono aree in cui la Federazione Russa sta lavorando, in questi ultimi anni, molto bene. Ma meno bene stanno lavorandoci gli iraniani. Quindi, Teheran potrebbe rafforzare le proprie postazioni in Siria, soprattutto per costringere Mosca ad una resa sul terreno di Damasco; e a costringere Mosca anche ad una posizione più dura verso Israele. Ma, se Teheran lo facesse, potrebbe creare la forte tendenza, d’intesa tra Mosca e Gerusalemme, a chiudere subito e duramente il “Corridoio” e a far fuori con le spicce la massiccia presenza di Pasdaran e Hezb’ollah. Anche l’Iran deve, quindi, calcolare bene la propria equazione strategica. Peraltro, se torniamo alle postazioni sul campo, i russi si stanno prendendo altri cinque mesi, da oggi, per addestrare i siriani all’uso degli S-300. Con costanti collegamenti delle attrezzature sia con la base di Humeinym, sempre in Siria, ma soprattutto con il Comando Centrale Aereo russo a Mosca. Putin non lascerà nemmeno un suo coltello da campo che privo di controllo, sul territorio siriano. E abbiamo già veduto i risultati del nettissimo controllo tattico e operativo dei russi sulle stesse forze siriane, che non avrebbero certo raggiunto questi ottimi e rapidi risultati, se non avessero avuto pazienti e costanti tutori da Mosca. Naturalmente, Mosca non vuole affatto alcun rapporto tra le sue armi, sul territorio siriano, e un qualsiasi attacco di qualsivoglia livello contro obiettivi israeliani.
Questo implica che i russi vogliono essere assolutamente sicuri che alcuna forza siriana e iraniana, aerea o meno, possa utilizzare gli S-300 contro lo stato ebraico. Impostazione che fa parte della “Grand Strategy” russa, e non da oggi, diversamente dal rapporto, che in tutto lo sviluppo delle guerre siriane è stato freddo e solo tecnico, tra i russi e gli iraniani. Vorrei proprio vedere cosa succederebbe se le basi di Hezb’ollah sul Mediterraneo venissero a impedire o a danneggiare le operazioni russe tra Latakia e Tartus, chissà proprio cosa potrebbe succedere. Mosca sa bene che non può certo fidarsi degli iraniani, ma tenterà ancora di fargli fare operazioni fuori dal loro grande sogno sciita unitario e mediterraneo, ma tutto questo sarà certo molto difficile. E se gli aerei israeliani, in cerca di obiettivi iraniani sulla linea Galilea-Bekaa-Golan, bombardando un S-300 o qualcos’altro, dovessero creare un potente différend con Mosca? E se tutto questo potesse essere anche l’innesco di una lotta a breve termine tra poteri sciiti, a Nord, oltre a popolazioni siriane locali, colpite anche loro “dall’entità sionista”? Sarebbe, anche questo, l’incidente preferito dalla Repubblica sciita dell’Iran; che ormai gioca, ai confini sud della Siria, alla creazione di un grande scontro totale, da scaricare su Israele; il che farebbe passare Hezb’ollah e i Pasdaran dalla fase della guerriglia a quella, a loro più adatta, di “guerra di popolo”. O, anche, si potrebbe pensare ad una mediazione in cui le basi dei missili di precisione portati dal “corridoio” verso il nord del Libano e la Bekaa vengano distrutti da operazioni rapide di Israele, che li faccia fuori tutti, mentre gli S-300 intorno a Damasco tacciono ancora. I tempi sono, evidentemente, stretti. E tutto dipende ancora dalla capacità di ricatto della Russia sull’Iran, che peraltro vedo sfumare sempre di più.
Una soluzione: una forte azione dimostrativa di Israele sui cieli delle postazioni evolute dei missili di Hezb’ollah, che non veda l’uso possibile di S-300, tacitate; e che permetta quindi una forte riduzione del rischio. Mentre il “Corridoio”, che dà fastidio sia alla Russia che a Israele, viene ben chiuso, nel frattempo. Il tutto, si può fare solo entro marzo. Oppure, una operazione bilaterale tra Nord e Sud, tra Russia e Israele, ma sul solo “Corridoio”, che isoli le batterie di missili di Hezb’ollah e faccia capire al “partito di Dio” che i missili non servono più, non saranno riparati o “nutriti” e inoltre avranno le comunicazioni con Teheran molto, ma molto disturbate. Naturalmente, se gli americani non se ne vanno del tutto dal quadrante siriano, non ci sarà nessun argomento che potrà mandar via dalla Siria di Bashar el Assad gli iraniani. È il loro contro-argomento preferito. Come due ciechi, persi nel loro sogno o della grande area sciita, o della ancor più grande “democrazia” mediorientale, Iran e Usa si giustificano a vicenda, ma senza più poter fare molto. I russi hanno poi chiesto a Netanyahu, senza troppi giri di parole, di usare la sua influenza sul presidente Donald J.Trump per far andare subito via le rimanenti truppe Usa dalla Siria, che stanno lì senza una idea strategica ben precisa. Fra l’altro, la domanda al premier israeliano implicava la richiesta, sempre da parte russa, di mandar via i soldati americani anche dalla base di Al Tanf. Che è una grande base che si trova al confine tra Siria e Iraq, nel governatorato di Homs. È evidente che, per i russi, che operano molto in quella zona, la base di Al Tanf, vecchia sede di una “coalizione contro il terrorismo” organizzata dagli Usa, poi lasciata all’”Esercito Libero Siriano”, ormai un ombrello di gruppi terroristici, che peraltro oggi si auto-denomina “Commando dell’Esercito Rivoluzionario”, per giunta, è un pericolo costante. Ovvio anche che questa vecchia base sia solo un residuo, peraltro oggi jihadista, ma “moderato”, certamente, di una vecchia composizione delle forze Usa in Siria.
La richiesta della pressione su Trump da parte di Netanhyahu, per porre fine a queste due questioni, era stata fatta a Israele circa sei mesi fa, alla fine di settembre. Ma senza risultati. Ovvio, Gerusalemme non si fida appieno, ancora, della Russia. E Mosca non vuole altri “padrini” di Israele nel mondo globale, visto che gli americani sono ormai stati bollati o bloccati fuori dal Medio Oriente. Trump, dietro anche ad esplicite richieste dirette di Mosca, non ha ancora chiarito la questione di Al Tanf, rimanendo sul vago anche sul possibile uso futuro della base, pur riportandone il tempo della chiusura a quello della ormai certa evacuazione di tutte le truppe Usa dalla Siria. Sia Israele che la Giordania, però, hanno fatto esplicita richiesta a Washington di far rimanere aperta Al Tanf. Perché? È semplice: tale postazione è ottima per evitare che la Russia (e, forse, anche l’Iran) non chiudano una base dove anche operano forze illegali giordane, visto che Al Tanf è proprio ai confini del Regno di Amman. E Gerusalemme non vuole farsi chiudere in quell’importante quadrante da una base in mani russe, con amici pericolosi, mentre a Gerusalemme non vogliono nemmeno deprivare l’amica Giordania di una base utilissima per eventuali operazioni bilaterali. Ma, se Israele dovesse accettare le pressioni russe per la base di Al Tanf, che per loro è solo un miraggio fastidioso, allora Mosca potrebbe fare un bel regalo a Israele. Potrebbero, infatti, evitare, proprio i russi, che forze filoiraniane possano infilarsi tra i confini giordani e israeliani, ricreando, altrove, un altro, più artigianale, “corridoio”. Quindi, Israele chiederà a Putin alcune cose, prima di far fare fuori Al Tanf: in primo luogo, creare una effettiva, controllabile e reale distanza di almeno 80 chilometri tra le linee iraniane e pro-sciite e i confini Nord di Israele.
Come fare? I sistemi di controllo sono oggi molti e molto precisi, ma la questione è che si deve essere capaci di reagire prima dell’inizio dell’operazione, 80 chilometri sono sempre troppo pochi. Ma se la Federazione Russa potesse garantire una efficace e armata linea di controllo tra i suoi alleati iraniani e il confine israeliano, allora la trattativa si potrebbe fare. E converrebbe anche ai russi, in fondo. E come convincere Putin, allora? Ricordandogli che farsi far fessi da un alleato non è certo il migliore biglietto da visita per diventare il Paese egemone del Grande Medio Oriente. Altri hanno fatto lo stesso, e si è visto come sono finiti. La seconda richiesta di Israele ai russi è quella di far cessare il traffico di armi, per via aerea, dall’Iran per la Siria ed Hezb’ollah. La Russia, finora, non ha mai accettato questa fiche. Ma occorre anche chiarire che, se Mosca non si farà prendere la mano dall’Iran in Siria, vi potrebbe essere, in futuro, una felice diarchia tra Israele e la Federazione Russa, con tutti gli alleati in comune nel Golfo; e nessuna potenza a rompere le scatole fuori. Il messaggio potrebbe anche essere suadente, per i russi. E perfino credibile. Infine, Gerusalemme vuole che le fabbriche vicine alle basi sirio-iraniane sul territorio di Damasco, che di solito producono materiali di precisione per i lanci missilistici di Hezb’ollah, siano del tutto e definitivamente disinstallate. Facile a dirsi ma non a farsi.
Gli iraniani potrebbero replicarle altrove, in Giordania o in Libano, o perfino in Iraq. Ma, in quel caso, si potrebbero facilmente controllare in tempo utile, anche per un futuro attacco mirato. Qui, probabilmente, si potrebbe venire facilmente ad un accordo. Nemmeno a Mosca fa piacere questa allegra produzione di armi, che nemmeno lei può controllare del tutto. E qui arriva la carta numero uno di Mosca: se noi non facciamo una trattativa globale con Teheran, non ci sarà nessuna operazione militare sui cieli della Siria che permetterà ad Israele di avere la pace. Vero. Ma è anche vero che le operazioni aeree israeliane danno alla Russia la voce forte per essere credibili con l’Iran. Non se ne esce. O si fa capire all’Iran che il suo “corridoio” non funzione o non può funzionare, e che quindi può dare ai libanesi sciiti solo pochi e nemmeno efficaci missili, o non se ne potrà fare di niente. E questo è un possibile accordo di interesse tra Gerusalemme e Mosca. E ancora, in ogni caso, le operazioni missilistiche degli sciiti libanesi potrebbero essere usate non solo per una vera e propria guerra, ma soprattutto per terrorizzare, modificare, deformare il comportamento della popolazione israeliana e del suo governo. Ne abbiamo parlato già prima: i leader dei Comitati di Resistenza Palestinese, operanti al sud del confine israeliano, sono stati festosamente ospitati da Hezb’ollah a Beirut, lo scorso 30 gennaio. Ovvero, qui si tratterebbe di avere, da parte dei Comitati Palestinesi e prima delle elezioni in Israele del prossimo 9 aprile, una serie di attacchi missilistici, soprattutto nella Striscia di Gaza, perfetto punto per l’attacco reale ma anche per la distrazione di Israele nei riguardi di una forte azione da Nord. Lo scollamento tra i due tempi è essenziale, per lo svolgimento con successo dell’operazione iraniano-sciita-palestinese.
I Comitati della Resistenza Palestinese sono, peraltro, delle piccole organizzazioni in mano ad Hamas. Ovvero, Hamas è diventato il diretto contraltare a Sud di Hezb’ollah. E, quindi si tratterà, in questo caso, di evitare, con le consuete operazioni di intelligence, gli assalti a massa di missili, che dovrebbero aver luogo circa tre settimane prima delle elezioni, il tempo psicopolitico giusto. Ma si potrebbe prevedere anche un attacco rapido e chirurgico di Israele ad Hamas prima delle loro operazioni, per sminuirli rispetto ai loro finanziatori e unire il destino di Hamas a quello di questi nuovi gruppi filo-sciiti.