Tocca all’Abruzzo fornire domenica 10 febbraio una prima indicazione sull’umore degli elettori che, più di altre volte, non si esprimeranno solo sugli amministratori uscenti e futuri, ma anche sul governo i cui principali leader sono andati in ogni angolo del territorio. L’Abruzzo è alle prese con una durissima crisi economica, con tante aziende in difficoltà e con mille problemi legati al terremoto dell’Aquila, di cui sta per ricorrere il decennale, e di quelli del 2016 che hanno riguardato un bel pezzo di regione e non solo Lazio, Marche e Umbria. I toni della campagna elettorale andranno messi presto da parte, anche perché sono serviti quasi esclusivamente a fare dichiarazioni sui temi nazionali (come la Tav e l’autorizzazione a procedere per Matteo Salvini), con botte da orbi tra Lega e Movimento 5 Stelle e, anche se rare, con contestazioni al ministro dell’Interno e ai leader grillini Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. Le questioni aperte saranno un impegno molto gravoso per la futura giunta.
IL CENTRODESTRA
Il centrodestra si presenta unito e i bagni di folla di Salvini hanno confermato la luna di miele del leader leghista con i cittadini evidenziata dai sondaggi nazionali. Il candidato presidente è Marco Marsilio, senatore di Fratelli d’Italia, che porta sulle spalle un peso non indifferente: ha sangue abruzzese, ma non ha mai vissuto in Abruzzo essendo nato a Roma da genitori trasferitisi da Tocco Casauria (Pescara). Compirà 51 anni una settimana dopo le elezioni. L’accordo dei mesi scorsi tra Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni per spartirsi i candidati alla presidenza nelle varie elezioni regionali in programma quest’anno ha fatto cadere la scelta sul tesoriere di Fratelli d’Italia e coordinatore del partito nel Lazio, scelta che ha creato malumori in Abruzzo nei partiti della coalizione proprio per la “lontananza” di Marsilio dalla regione.
Nonostante questo, il centrodestra è il favorito per la vittoria finale pur arrivando al voto con diversi smottamenti interni e passaggi da un partito all’altro. Alcuni hanno cambiato casacca perché convinti dal “progetto”, come si direbbe per un calciatore, cioè perché hanno trovato una candidatura che il partito originale non garantiva. Lotte intestine che portano con sé lo spostamento di pacchetti di voti e una discutibile immagine verso gli elettori che, in città di provincia, sono quelli che incontri tutti i giorni. Marsilio è sostenuto da Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Azione politica, Popolo della famiglia-Popolari per l’Italia e Udc-Dc-Idea.
IL MOVIMENTO 5 STELLE
Saranno elezioni significative anche per il M5S che candida nuovamente Sara Marcozzi, avvocato di 41 anni che cominciò la pratica forense proprio nello studio di Giovanni Legnini che oggi è il suo avversario nel centrosinistra. La conferma nella corsa a governatore dimostra la stima che nel Movimento hanno per lei forse perché farebbe migliore figura di molti altri al governo per preparazione e linguaggio forbito, elementi che però di solito non sono determinanti per vincere le elezioni. Dalla sua ha una legislatura consiliare all’opposizione che le consente di ribattere al centrosinistra, nello stesso tempo deve distinguersi dall’alleato del governo nazionale in una fase in cui la frattura con la Lega è sempre più ampia. L’ultimo esempio, di poche settimane fa, ha riguardato la mediazione sulle trivelle nel Mare Adriatico che interessano anche l’Abruzzo: la Marcozzi ha espresso posizioni opposte rispetto a Salvini e in alcune zone costiere il Movimento finora è stato più forte che altrove. La vera scommessa è difendere il grande successo delle elezioni politiche del marzo scorso.
IL CENTROSINISTRA
Giovanni Legnini, fino a pochi mesi fa vicepresidente del Csm, già parlamentare e sottosegretario, è probabilmente il migliore candidato che il centrosinistra potesse scegliere. Avvocato, nato a Roccamontepiano (Chieti), ha da poco compiuto 60 anni e ha mantenuto un costante legame con la regione. Legnini però ha un grosso problema: al crollo generalizzato dei consensi del suo partito, il Pd, deve aggiungere l’eredità dei cinque anni di governo di Luciano D’Alfonso, oggi senatore democratico, spesso al centro di polemiche come quelle sulla gestione della sanità o sull’attenzione concentrata sulla costa (è stato sindaco e presidente della provincia di Pescara) a danno delle aree interne. Per tentare di rianimare un elettorato disperso, Legnini ha raccolto intorno a sé, insieme con quella ufficiale del Pd, liste civiche rappresentative di vari pezzi della società: oltre alla sua, Legnini Presidente, ce ne sono altre sei.
CASAPOUND
Il quarto candidato è Stefano Flajani di CasaPound: 47 anni, avvocato, nato ad Alba Adriatica (Teramo), rilancia in chiave abruzzese i temi nazionali del movimento declinando il “prima gli italiani” salviniano sull’economia, il lavoro, la sanità e non solo sull’immigrazione.
LE PRECEDENTI ELEZIONI
Alle regionali del maggio 2014 il centrosinistra vinse con D’Alfonso che ottenne il 46,2 per cento con il Pd al 25,4. Il governatore uscente, Gianni Chiodi (FI), ebbe il 29,2 con Forza Italia al 16,6 e Fratelli d’Italia al 2,9 mentre il M5S con la Marcozzi raggiunse il 21,3. Naturalmente il voto del 10 febbraio sarà letto in relazione a quello delle elezioni politiche del marzo scorso quando in Abruzzo, nei collegi proporzionali della Camera, il Movimento 5 Stelle ebbe il 39,8 per cento; il centrodestra il 35,5 con FI al 14,4, la Lega al 13,8 e FdI al 5 per cento; il centrosinistra si fermò al 17,6 per cento con il Pd al 13,8. La lista di Liberi e Uguali, che stavolta sostiene Legnini, ebbe il 2,6 e CasaPound raggiunse l’1 per cento.
Le elezioni in Abruzzo sono il primo test significativo (cui seguiranno le regionali in Sardegna del 24 febbraio) e potrebbero gettare altra benzina sul fuoco delle tante polemiche che stanno indebolendo il governo Conte. Tanto per citare l’ultima: chiudendo la campagna elettorale a Pescara, è vero che Salvini ha definito l’esperienza abruzzese “non traslabile in altre identità” frenando su un’eventuale ricostituzione del centrodestra al governo, ma ha anche detto che “i 5 Stelle non stanno governando nulla, mentre noi stiamo governando, e bene, tante Regioni e tanti Comuni da 20 anni. Il treno del cambiamento non passa due volte”. A Virginia Raggi e Chiara Appendino saranno fischiate le orecchie. Forse anche a Di Maio.