Il giorno 11 febbraio scorso, Mohammed Javad Zarif, il ministro degli Esteri di Teheran è arrivato a Beirut, agli inizi di un nuovo gabinetto libanese che, se pure è diretto da un vecchio amico degli occidentali, Hariri, è certamente il più vicino a Hezb’ollah, tra quelli più recenti. Javad Zarif ha offerto ogni sostegno dell’Iran al nuovo governo, un sostegno “in tutti i settori”. La delegazione di Teheran era composta, oltre che dal ministro degli esteri, da un selezionato gruppo di 30 uomini d’affari iraniani, che hanno incontrato businessmen libanesi e palestinesi. È il primo segnale di una “presa del Libano”, da parte della repubblica sciita iraniana, che sarà foriera di molte trasformazioni strategiche, geopolitiche, economiche. Ovvio che, alla fine degli scontri in Siria, l’Iran voglia assicurarsi uno stabile centro di potere sul Mediterraneo, a stretto contatto con Israele e verso l’area gaziera del Levante mediterraneo che, come abbiamo spesso notato, sarà importantissima in futuro. Né è da dimenticare che la visita di Zarif è stata programmata proprio nel giorno del quarantennale della rivoluzione sciita dell’Imam Qomeini, un simbolo politico, in un paese con una vasta popolazione sciita, che non va certo trascurato. Stessa religione, stessa leadership politica, sembra significare questo attento coordinamento di date. Sia Mosca che Teheran leggono quindi la nuova stabilità della Siria di Bashar el Assad come basata soprattutto in Libano. Sia la Russia che l’Iran hanno, comunque, indicato, almeno indirettamente per quel che riguarda i russi, soprattutto Hezb’ollah come il proprio referente primario in Libano. Per l’ambasciatore russo a Beirut, sono unicamente gli Usa che, oggi, possono innescare un conflitto con l’Iran, data la loro politica regionale.
Per il probabile futuro conflitto tra Israele e Libano, l’ambasciatore Zasypkyn ritiene invece che la situazione sia molto più fluida e, addirittura, maggiormente controllabile. In altri termini, Mosca fa ancora perno sul suo potere di dissuasione politico e militare in Siria per evitare uno scontro tra Hezb’ollah e Israele; guerra che metterebbe a dura prova sia la sua nuova egemonia in Medio Oriente che la stessa stabilità in Siria. L’inviato russo a Gerusalemme, un solo giorno prima della visita di Zarif in Libano, ha poi assicurato il governo israeliano che Hezb’ollah è una “forza di stabilità” in tutta l’area. Probabilmente, Mosca non può ancora fare a meno dell’Iran, sia in Siria che in Libano, e accetta bon grè mal grè che il nesso primario, a Beirut, sia quello tra il “partito di Dio” e il nuovo governo di Hariri. Ma fino a quanto tutto questo può durare? Se Hezb’ollah decide di iniziare una nuova pressione contro Israele, Mosca potrebbe perdere rapidamente il suo grip nella Siria meridionale; e quindi il suo obiettivo primario di diventare la piattaforma girevole di tutto il grande Medio Oriente. Fra l’altro, i segnali che provengono dal gruppo militare sciita libanese sono molto chiari: Hassan Nasrallah, il 7 febbraio scorso, ha apertamente richiesto il riarmo delle forze libanesi (tutte, naturalmente) da parte unicamente dell’Iran, chiarendo poi che, in un possibile futuro attacco da parte degli Usa in sostegno ad Israele, Hezb’ollah combatterebbe subito dalla parte di Teheran. Nasrallah ha anche chiesto che siano resi disponibili per il Libano i nuovi missili “evoluti” di Teheran, oltre ai sistemi di sensori e all’intelligence tattica e dei segnali. È la richiesta, quindi, di una vera e propria parità strategica tra Libano meridionale e Israele.
Ovvero, il fine degli sciiti libanesi è quello dell’eliminazione iniziale di ogni tipo di ingerenza statunitense nell’area, per poi passare ad una pressione, non solo armata, nei confronti dello stato ebraico che, senza il sostegno di Washington, sarebbe costretto ad accettare una pace al ribasso e incerta. Che è, poi, il primo obiettivo sia dell’Iran che di Hezb’ollah, ma non certo della Federazione Russa. Ma Javad Zarif, che ha implicitamente accettato la richiesta di aiuto da parte di Hezb’ollah, ha poi chiarito, nei suoi incontri libanesi, che è pronto, per le forze del “partito di Dio” ma anche per l’esercito regolare di Beirut, lo Javar 373, un sistema missilistico di lancio e di difesa aerea molto simile al russo S-300. “Bavar” significa “credenza”, ma in senso strettamente religioso, mentre il numero 373 ricorda la quantità dei soldati appartenenti alla schiera finale del Dodicesimo Imam, 313. L’Iran è pieno di simboli politici, che occorre sempre tenere di conto. Bavar 373 è un sistema missilistico terra-aria ben copiato, probabilmente, dallo S-300 russo, sistema che apparve in Iran, per la prima volta, nel 2015. Il complesso missilistico utilizza il vettore, anch’esso prodotto in Iran, denominato Sayyad-4, con gittata da 150 chilometri, usa anche radar evoluti che possono, così almeno sembra agli analisti che hanno visto all’opera Bavar 373, saturare almeno una sessantina di obiettivi in contemporanea. Ovvio è quindi scoprire cosa accadrà tra poco: Israele avrà l’occasione, presto o tardi, di abbattere con una operazione chirurgica le reti iraniane in Libano ma, con ogni probabilità, il governo di Hariri declinerà l’offerta di Teheran, permettendo così di far arrivare a Beirut armi russe e, soprattutto, lo S-300. Gli S-300, ricordiamo, che saranno controllati attentamente sia dalle basi russe in Siria, che non saranno mai abbandonate da Mosca, sia, simultaneamente, dalla centrale missilistica di Mosca.
Ovviamente, Teheran non ha alcuna obiezione riguardo al trasferimento di armi russe in Libano. Anzi. Inoltre, il regime sciita presto affermerà che, siccome gli Usa armano e addestrano ancora i curdi contro il sedicente califfato, anche loro armano regolarmente e lecitamente i loro Hezb’ollah contro lo stesso nemico, e con attrezzature equipollenti. Obiettivo primario di Iran e Russia è allora, evidentemente, l’espulsione totale degli Usa dal quadrante siriano e dalla costa mediterranea libanese e israeliana. Compiuta questa operazione, Mosca chiederà a Gerusalemme un nuovo dislocamento dei suoi potenziali contro Hezb’ollah e le forze del jihad palestinese, che sono anch’esse nel computo degli iraniani. E forse, in futuro, dei russi. Per quel che se ne sa oggi, comunque, l’uscita definitiva degli americani dal sistema siriano dovrebbe essere completata per la fine di aprile. Ma, ancora, qual è il motivo di tutto questo nuovo interesse di Mosca per il “partito di Dio”? Mosca non vuole rimanere da sola in Siria, questo è già evidente. Ma la Federazione Russa non vuole nemmeno che l’Iran possa mai mettere in crisi la sua egemonia regionale, visto che, per Mosca, tutto quel che Teheran può chiedere è la stabilità, ma unicamente sotto controllo russo, del suo “corridoio” dall’Iraq fino a Beirut. Togliere Hezb’ollah dalle mani di Teheran è quindi vitale, per la Federazione Russa, che ha un disperato bisogno di cuscinetti strategici per controllare la Siria isolando lo strumento primario degli stessi iraniani, Hexb’ollah, appunto. Anche il 21 febbraio scorso i russi hanno affermato, nei loro dialoghi di Mosca con il governo Netanhyahu, che, lo abbiamo infatti già visto, “Hezb’ollah è una forza di pace”. Il che, peraltro, fa capire che Putin non ha nessun interesse a bloccare le operazioni israeliane contro i tunnel della organizzazione militare sciita. Sempre per i russi, il possibile conflitto tra Israele e il Libano può scoppiare solo e unicamente per colpa degli Usa, visto che Hezb’ollah, sempre per gli uomini di Mosca, ha sostenuto unicamente il governo legale di Damasco; diversamente, comunque, da quanto hanno fatto gli Usa fin dall’inizio delle ostilità.
Quindi, gli Usa dovrebbero ridurre, per Mosca, il tono dei loro attacchi verso Teheran, in modo tale da diminuire la pressione della repubblica sciita nei confronti di Hezb’ollah e dell’attuale intero governo libanese. È ragionevole, questa ipotesi? Si e no. Certamente, se Washington vuole una guerra prolungata (è questo il senso che gli iraniani danno alle affermazioni nordamericane) la reazione più probabile sarà quella di un attacco iraniano che accenderà tutto il “corridoio” e destabilizzerà l’area del Golan. Ma se, come è ugualmente probabile, le sparate della Presidenza Usa fossero solo un ballon d’essai strategico e degli argomenti ad uso interno? E, come è forse oggi probabile, sono proprio i russi a voler far passare il “partito di Dio” da una evidente egemonia iraniana ad una stabile (e egemone) protezione russa. Se ciò accadesse, Mosca eviterebbe di pagare un prezzo siriano troppo alto a Teheran; e avrebbe a disposizione una organizzazione militare che potrebbe securizzare bene il Mediterraneo del Levante e mantenere, sempre a nome di Mosca, la pace e la stabilità del regime di Bashar el Assad, le cui Forze Armate non sono mai molto piaciute alla Federazione Russa. Qui, occorre fare tre notazioni importanti: i sistemi operativi S-300 che la Russia ha lasciato in Siria dall’ottobre scorso non sono ancora operativi. Ovvero, Mosca non ha ancora deciso cosa farne, di Damasco.
L’Iran, inoltre, non ha ancora completato la fabbrica e non ha ancora iniziato la produzione di missili “evoluti” su territorio siriano. Era, infatti, tutta una operazione di psyops: far vedere a Israele e agli Usa uno stadio evolutivo maggiore di quello reale, per sottolineare il pericolo imminente di un attacco israeliano. Infine, gli iraniani non hanno ancora accettato la pressante richiesta russa di trasferire rapidamente la loro Sala di Vetro, il comando centralizzato delle loro forze in Siria, che opera dall’area dell’aeroporto internazionale di Damasco. Tutti gli iraniani sono ancora lì, e ci rimarranno a lungo. In sostanza, quindi, i russi credono che tutte queste post-verità siano il prodotto di una operazione di psywar americana e israeliana, per separare nettamente gli interessi iraniani, russi e libanesi e, quindi, ricostruire una rete di sicurezza in Siria e Libano. E, proprio per reazione a queste supposte operazioni di psyops, sono proprio i russi, oggi, in un momento in cui essi sanno benissimo che il sostegno iraniano a Hezb’ollah è debole e economicamente imprevedibile, che cercano di porre sotto la loro ala protettrice tutto il movimento del “partito di Dio”. Un nuovo Hezb’ollah, quindi, che farebbe da guardia dentro la Siria, coprirebbe la sicurezza delle coste a sud di Latakia e Tartus, permetterebbe l’accesso di Mosca a tutta la vasta galassia della “resistenza”, sunnita o sciita non importa, all’espansione israeliana. Mosca vuole un Israele stabile, ma piccolo e meno potente di quanto non lo sia oggi. Abbiamo in questo caso, già visto dei segnali importanti di questa operazione durante l’incontro di Sochi del 14 febbraio scorso, tra Putin, Erdogan e Hassan Rouhani. Qui, Putin ha affermato chiaramente il suo sostegno a Hezb’ollah, ovvero la sua “presa del gruppo”; e la possibile utilizzazione di questa nuova protezione sia per la Turchia che, ovviamente, per l’Iran. È probabile che Mosca sappia che l’Iran non ce la fa più, economicamente, a mantenere il “partito di Dio”, costosissimo, oltre a tutta la rete jihadista a sud di Israele. Ma mai da soli, comunque, secondo i piani russi, Teheran e Ankara, potranno utilizzare il nuovo assetto del “partito di Dio”.
Inoltre, Rosneft è penetrato già nel complesso e largamente autonomo mercato libanese del gas naturale che, come abbiamo già notato, è uscito dal quadrante della Conferenza del Cairo. È già operativo un accordo ventennale tra il gigante russo del gas naturale e il governo libanese, per un sito di stoccaggio di Tripoli. Appena gli Usa escono dal Medio Oriente, i russi occupano immediatamente le postazioni gaziere e petrolifere. Ma da soli, è bene notarlo, senza mai accordi paralleli con la Siria o con l’Iran. Il Libano, peraltro, vuole esplicitamente che la Russia gestisca, d’ora in poi, le relazioni tra il Paese dei Cedri e la stessa Siria; relazioni che, è ben noto, non sono mai state particolarmente tranquille. La variabile dell’indipendenza reale del Libano da Damasco è il punto centrale dell’attuale postura di Mosca e, quindi, della sua specifica attenzione verso Hezb’ollah. L’accordo da un miliardo di Usd di trasferimenti militari da Mosca a Beirut, che pure è stato molto discusso nelle capitali occidentali, è un primo segno, che indica come Mosca non voglia l’Iran tra i piedi in Libano, ma possa accettarlo, tra gli altri players secondari, soprattutto sul territorio siriano. L’interscambio russo-libanese è passato dai 423 milioni del 2016 agli 800 attuali, con un mercato dominato dai trasferimenti energetici russi verso il mercato libanese. La Russia, con ogni probabilità, sosterrà in futuro la richiesta di Hezb’ollah che il deposito marino Leviathan israeliano acquisisce, in modo illegale, alcune delle risorse dei depositi gazieri libanesi. La minaccia è chiara: se Mosca sostenesse in pieno le richieste del Libano, vi sarebbe l’occasione per l’inizio delle ostilità tra il “partito di Dio” e Israele, ostilità che verrebbero mediate, alla fine di un breve ma potente scontro, proprio dalla Federazione Russa.