Si stanno intensificando le iniziative di tanti esponenti cattolici che aspirano a creare luoghi di incontro e di approfondimento sulla questione della presenza dei cattolici in politica. A Taranto, dove era presente sua eccellenza Santoro, c’è stata una bella assemblea di aderenti dell’associazione Insieme, di cui hanno dato conto Nicola Graziani e Giancarlo Infante. Graziani anche attraverso le pagine di Formiche. A Torino, invece, per iniziativa di Rete Bianca si sono incontrati in tanti con il cardinale emerito Poletto, con Giorgio Merlo e altri esponenti. Ha concluso i lavori Giuseppe De Mita.
La scorsa settimana Insieme ha tenuto un convegno con i volontari lombardi e presto se ne terrà uno anche in Campania. Di fronte a tutto questo attivismo, scritto e parlato, finalizzato ad arricchire le proposte di buona politica e di buon governo, è inspiegabile, ma non tanto, che c’è gente scettica, dubbiosa, che storce la bocca. Forse perché una presenza cattolica organizzata nella vita politica attuale procurerebbe dispiaceri e malessere a chi, anche tra le file del cattolicesimo, teme di perdere rendite di posizione? Niente di nuovo sotto il sole, capitò la stessa cosa nel 1919 quando Sturzo lanciò dall’Albergo Santa Chiara in Roma lo storico Appello ai Liberi e Forti. La stampa di marca liberale pretendeva di dare consigli ai “popolari”, invitandoli a pensarci bene se conveniva o meno una loro presenza concreta in politica. Ancora più vivaci furono gli avvertimenti dell’ultra destra, poi filofascista. La preoccupazione era forte: un partito concorrente di moderati cattolici avrebbe eroso consenso al liberalismo giolittiano ormai in crisi, alla destra estrema e alla sinistra. L’associazionismo cattolico non fu da meno, soprattutto la parte clericaleggiante, che ancora difendeva falsamente, per interessi propri, i diritti imprescrittibili del sommo pontefice, per cui non riteneva opportuna una presenza politica cattolica nel Paese. La pazienza e la tenacia di don Sturzo fu la migliore risposta per tenere alla larga corvi, detrattori, falsi e interessati consiglieri. C’è oggi, come ieri, chi vuole scoraggiare la presenza attiva dei cattolici in politica, attraverso tesi strampalate, immaginifiche del tipo: un partito di cattolici sarà in grado di risolvere la “questione cattolica”? Come se i cattolici dovessero essere il braccio armato della Chiesa cattolica, per risolvere i suoi problemi. Non sono necessari ulteriori commenti.
Il voto, i democristiani non lo hanno mai chiesto per il senso religioso della propria proposta, ma sempre per il valore civile e sociale che comportava. La questione dei cattolici in politica fino ad oggi si è presentata alla stregua di fenomeni carsici, esisteva e non esisteva. Non c’è stata mai una volontà ferma e corale per andare avanti in forma concreta e decisa. Le iniziative di Todi lo hanno dimostrato ampiamente, visti i risultati. I veti e i contro-veti hanno purtroppo fatto abortire ciò che stava per nascere. Il tempo comunque è scaduto: il popolo che fa riferimento alla politica ispirata cristianamente non vuole e non può più attendere i desideri di califfi e mandarini, espressioni di qualche movimento, all’interno e all’esterno del mondo cattolico.
Il deserto culturale prodotto dagli attuali partiti dovrebbe spingere i cattolici, attrezzati moralmente e socialmente, sostenuti da una storia solida e da una indiscussa tradizione politica ad agire con determinazione nella vita pubblica italiana. È stato possibile nel 1919 e nel 1943, dopo i due tragici conflitti mondiali e in condizioni socio-economiche disastrose, perché non dovrebbe esserlo oggi? Quali sono gli insormontabili ostacoli che bloccano l’impegno diretto e concreto dei tranquilli cattolici? È vero che ci sono gruppi di potere, noti e ignoti, supportati anche da qualche frangia cattolica, che continuano a mettersi di traverso in presenza di un possibile partito che si richiama al popolarismo.
Papa Francesco ha ammonito: di fronte alle iniziative politiche dei governi i cattolici devono intervenire, aiutando i governanti a fare le scelte migliori. Non si può rimanere indifferenti, neutri, non ci si può lavare le mani dicendo: è affar loro, quasi parafrasando don Lorenzo Milani quando affermava: “A che serve tenere le mani pulite se si tengono in tasca?”. Ha chiarito il papa che l’impegno politico è paragonabile alle varie forme di apostolato dei laici, evocando la storica tesi di San Paolo VI che ricordava come la “politica è la più alta forma di carità”. Le parole di papa Francesco suonano come invito esplicito a sporcarsi le mani. Non è una novità che un pontefice solleciti i credenti all’azione politica in prima persona, anche se in forme diverse, già in passato sia Benedetto XVI sia Giovanni Paolo II intervennero sull’atteggiamento inspiegabilmente rinunciatario, timoroso dei cattolici nella politica italiana. C’è la necessità di colmare questo enorme vuoto, mai così significativo in precedenza: bisogna elaborare una piattaforma programmatica e regole certe, fondamento imprescindibile di una nuova struttura politica.
Il timore di trovarsi immersi irrimediabilmente in un capitalismo tracotante, senza regole, selvaggio, che annienta la persona umana, la stritola con pseudo-valori e con la falsa promessa del “paradiso” in terra per tutti è reale e preoccupante. La cultura cristiana e la storia democratico-cristiana, la puntuale e appassionata lezione di Sturzo sull’impegno politico dei popolari interrogano la coscienza dei cattolici, ai quali si chiede coraggio e presenza incisiva e decisiva su questioni essenziali come difesa dell’ambiente, mercato, politica economica, welfare. Lo sviluppo dell’Occidente si è concretizzato grazie al contributo essenziale del pensiero e dell’opera cristiani. I risultati conseguiti ci convincono che è possibile ancora fidarsi di questa storia. Non è facile costruire un partito, ma neppure il Ppi di don Sturzo “nacque bello e formato dalla testa di Giove”.