Le previsioni sono state rispettate. Il voto sulla piattaforma Rousseau ha sancito il no all’autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini, la Giunta per le immunità ha votato nello stesso senso grazie al voto determinante del M5S, Luigi Di Maio ha tirato un sospiro di sollievo e il ministro dell’Interno ha fatto lo stesso perché non si sa mai. Entro il 24 marzo ci sarà il voto definitivo dell’Aula del Senato che dovrebbe confermare quanto deciso dalla Giunta. Tutto a posto? Forse no.
I voti in favore di Salvini sul web sono stati il 59,05 per cento, il minimo accettabile che pure rende evidente una spaccatura profonda già dimostrata dalle proteste per la difficoltà del voto online. Il 41 per cento circa di contrari rappresenta ben più di una spina nel fianco per il capo politico Di Maio che sa di aver reso un enorme piacere all’alleato di governo, convertitosi al voto della Giunta da un’iniziale disponibilità al processo dopo aver letto una richiesta di autorizzazione piuttosto motivata che, in teoria, avrebbe potuto provocargli seri problemi nel giudizio ordinario. Un piacere che ora il Movimento vorrebbe che venisse ripagato, e infatti già si parla di un freno all’autonomia chiesta da alcune regioni del Nord, anche se dall’altro lato la Lega proporrebbe un referendum in caso di insistenza nel no alla Tav. Nel dubbio, non deve decidere il popolo?
La Giunta per le immunità del Senato ha deciso a maggioranza di dire no alla richiesta del Tribunale dei ministri di Catania. I 16 voti a favore di Salvini sono stati quelli di Lega, Movimento 5 stelle, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Autonomie (Meinhard Durnwalder), i contrari i 6 del Pd e i 2 del Misto (Pietro Grasso di Leu e Gregorio De Falco ex M5S). Unica assente la grillina Grazia D’Angelo, diventata mamma da poche ore. Si sono già viste tracce delle violente polemiche politiche che ci aspettano: da un lato i senatori del Pd hanno applaudito ironicamente i colleghi del Movimento all’uscita dalla Giunta, dall’altro il capogruppo grillino Michele Giarrusso ha risposto facendo il gesto delle manette riferendosi agli arresti domiciliari inflitti ai genitori di Matteo Renzi.
Le dichiarazioni di prammatica dal Movimento sulla democrazia diretta e sull’appoggio totale alla relazione del presidente della Giunta, Maurizio Gasparri (per il quale la decisione farà giurisprudenza), nascondono a fatica i problemi che aumenteranno nei prossimi giorni. Mettendo in fila le elezioni regionali in Sardegna del 24 febbraio, quelle in Basilicata del 24 marzo e l’ipotizzata manovra finanziaria correttiva dopo le elezioni europee, è evidente che il governo Conte continuerà a traballare. Il no all’autorizzazione a procedere rimuove un enorme ostacolo e il ministro dell’Interno continua a ripetere che si comporterebbe allo stesso modo anche in futuro.
Forse gli consiglieranno maggiore prudenza: come pura disquisizione giuridica, bisognerebbe riflettere sul fatto che il Tribunale dei ministri gli ha contestato “solo” l’articolo 605 del codice penale (sequestro di persona aggravato) mentre il senatore Grasso in Giunta ha citato l’articolo 289 ter, introdotto l’anno scorso, che punisce con una reclusione da 25 a 30 anni il sequestro a scopo di coazione di uno Stato estero o di un’organizzazione internazionale tra più governi subordinando la liberazione degli “ostaggi” a una loro azione oppure omissione. Nel caso Diciotti, Salvini intendeva attendere la riunione di Bruxelles del 24 agosto prima di far sbarcare i 177 migranti. Nel frattempo, è possibile che prima dell’estate il ministro sarà citato direttamente in giudizio dalla procura di Torino per vilipendio all’ordine giudiziario: nel 2016 in un comizio attaccò i magistrati che indagavano su esponenti leghisti parlando di “cancro da estirpare”.