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Dal social credit al controllo del Dna. La sorveglianza cinese si fa hi-tech

C’è chi l’ha già paragonato a uno scenario alla Black Mirror, la popolare serie britannica ambientata in un futuro distopico (e apparentemente non molto lontano) nel quale la tecnologia, sempre più presente e invasiva, arriva a destabilizzare la società fino a cambiare la natura stessa dei sentimenti umani. In Cina – Paese che ha già destato scalpore col progetto che vedrà dare dal 2020 un punteggio (con annesse penalizzazioni e ricompense) ai comportamenti online di cittadini e aziende attraverso il cosiddetto Social Credit System – questo cambiamento sembra prendere sempre più forma attraverso una iniziativa che sta portando alla creazione di un enorme database basato sul Dna da utilizzare per fini di sorveglianza e controllo.

LA RICERCA DI TECNOLOGIA USA

Per realizzarlo, racconta il New York Times, le autorità cinesi si sono rivolte a una società del Massachusetts, Thermo Fisher, e a Kenneth Kidd, un eminente genetista dell’Università di Yale. L’analisi di materiale genetico non è, d’altronde, qualcosa di nuovo in sé: da anni forze di polizia in varie parti del mondo la utilizzano per trovare sospetti e risolvere crimini.

I TIMORI

Il progetto di Pechino, però, evidenzia la testata, potrebbe essersi spinto oltre ed essere funzionale al monitoraggio di minoranze come gli Uiguri, un’etnia turcofona di religione islamica che vive nel nord-ovest della Cina, nello Xinjiang, e che è sottoposta a duri sistemi di detenzione. Tra il 2016 e il 2017, nell’ambito di un programma noto come “Physicals for All”, secondo Xinhua, l’agenzia di stampa ufficiale della Cina, sono state geneticamente schedate quasi 36 milioni di persone (non è chiaro se alcuni residenti abbiano partecipato più di una volta, dal momento che lo Xinjiang ha una popolazione di circa 24,5 milioni di persone). Le autorità – ufficialmente per ragioni mediche – hanno raccolto secondo la popolazione locale campioni di Dna, immagini dell’iride e altri dati personali.

Sull’onda di questi timori di violazione dei diritti umani, il senatore repubblicano Marco Rubio ha chiesto al Dipartimento del Commercio, insieme ad altri membri del Congresso, di proibire alle compagnie americane la vendita di tecnologie impiegabili per scopi di sorveglianza in Cina. Nel frattempo Thermo Fisher (che sta collaborando con funzionari Usa per saperne di più sull’impiego dei suoi macchinari nella Repubblica Popolare) ha comunicato mercoledì di non voler più vendere le sue tecnologie alla regione dello Xinjiang, dove vive e viene monitorata la popolazione uigura. Mentre Kidd si è difeso dicendo di non essere a conoscenza di come il suo materiale genetico fosse stato utilizzato. Alcune informazioni ottenute tramite queste analisi sono state poi inviate all’Allele Frequency Database (contenente il Dna di più di 700 popolazioni del mondo), una piattaforma di ricerca online gestita dallo stesso Kidd e parzialmente finanziata fino all’anno scorso dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e, senza la certezza che questi dati siano stati prelevati tramite un esplicito consenso informato, l’istituzione intera rischia di aver violato alcune basilari norme.

UN PROBLEMA (ANCHE) ETICO

Inoltre, tutta la questione non ha solo a che vedere con problematiche legate alla privacy dei cittadini, ma rappresenta un tema etico. Nel 2014 ricercatori cinesi hanno pubblicato un documento che descriveva un metodo con cui gli scienziati potrebbero distinguere un gruppo etnico da un altro. Nell’analisi gli autori affermavano di aver utilizzato 40 campioni di Dna prelevati da Uiguri in Cina e altrettanti di diversi gruppi etnici (tutti provenienti dai laboratori di Kidd).

IL GRANDE FRATELLO CINESE

Ad ogni modo – rileva Mark Munsterhjelm, professore associato presso l’Università di Windsor, sentito dal Nyt – il caso ha fatto nuovamente emergere uno dei dilemmi centrali in seno alla comunità scientifica. Conoscenze così approfondite, peraltro sviluppate attraverso il know-how statunitense, potrebbero permettere a Pechino di mettere in atto un sistema di sorveglianza ancora più capillare e, in qualche modo, legittimare questo tipo di sorveglianza.

INVESTIMENTI IN CRESCITA

La Cina, spiega ancora il Nyt, sta concentrando molti dei suoi sforzi sul miglioramento delle tecnologie mediche in questo ambito. In particolare, il programma di investimenti sulle apparecchiature di sequenziamento genetico sarebbe passato dal contare su un miliardo di dollari nel 2017 fino a una previsione di oltre due miliardi per i prossimi cinque anni.

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