Per capire l’enormità di quanto sta accadendo in queste ore in Vaticano basta porsi una semplice domanda: nei processi canonici sugli abusi sessuali qual è il ruolo della vittima? Il punto 21 delle raccomandazioni presentate all’inizio dei lavori è chiarissimo: “È necessario – si legge nel testo distribuito dalla Sala Stampa vaticana – che si istituisca, laddove non si è ancora fatto, un organismo di facile accesso per le vittime che vogliono denunciare eventuali delitti. Un organismo che goda di autonomia anche rispetto all’Autorità ecclesiastica locale e composto da persone esperte (chierici e laici), che sappiano esprimere l’attenzione della Chiesa verso quanti, in tale campo, si ritengono offesi da atteggiamenti impropri da parte di chierici”.
Il nuovo processo che si delinea dunque coinvolge le vittime, mentre oggi sembra non siano parte del mondo che discute un caso che riguarda quanto è accaduto sui loro corpi, e sulle loro anime. La proposta di aprire il processo canonico a laici dunque rompe l’autoreferenzialità del meccanismo senza ledere alcun principio, visto che il diritto canonico, ad esempio per i casi di nullità matrimoniale, coinvolge anche i fedeli.
Seguendo la strada tracciata dalle raccomandazioni formulate al summit la Chiesa diviene una Chiesa nuova, quella di cui si parla dal Concilio, cioè la Chiesa del popolo di Dio, quindi anche di chi non ha preso i voti, ma crede, frequenta la parrocchia, la scuola, il seminario, non solo quando si tratta di decidere se il suo matrimonio può essere annullato dall’autorità.
Quando la discussione su colpe di ordinati coinvolge non ordinati vuol dire che un corpo non giudica più da solo sé stesso e così il meccanismo autoreferenziale si rompe, magari non d’incanto, ma si rompe. Quanto denunciato oggi dal cardinale tedesco Marx, che interi dossier sarebbero stati distrutti, non sarebbe più pensabile. Ecco perché questo è un passaggio epocale, visto che l’indispensabile collaborazione con l’autorità civile non può essere pensata in modo analogo in tutto il mondo (il Venezuela non è la Svizzera). È così, e non con i tentativi di risolvere il tutto parlando di omosessualità, che si va verso un reale cambiamento. È questione di un’idea di potere.
Ma a Jorge Mario Bergoglio questo cambiamento assai più profondo e significativo di qualsiasi richiamo vago a un’ipotetica “ tolleranza zero” che senza questa novità rimarrebbe comunque un’intenzione, ammirevole ma destinata a scontrarsi con la cultura propria degli apparati, a Jorge Mario Bergoglio si diceva che questa novità epocale non bastava. E così dopo che, inusualmente, al summit antipedofilia che vede presenti i presidenti di tutte le conferenze episcopali del mondo, è intervenuta una donna, la dottoressa Ghisoni. Dopo averla ascoltata Papa Francesco ha detto: “Il genio femminile che si rispecchia nella Chiesa è donna. Invitare a parlare una donna non è entrare nella modalità di un femminismo ecclesiastico, perché alla fine ogni femminismo finisce con l’essere un machismo con la gonna. No. Invitare a parlare una donna sulle ferite della Chiesa è invitare la Chiesa a parlare su se stessa, sulle ferite che ha. E questo credo che sia il passo che noi dobbiamo fare con molta forza: la donna è l’immagine della Chiesa che è donna, è sposa, è madre. Uno stile. Senza questo stile parleremmo del popolo di Dio ma come organizzazione, forse sindacale, ma non come famiglia partorita dalla madre Chiesa. La logica del pensiero della dottoressa Ghisoni era proprio quella di una madre, ed è finita con il racconto di cosa succede quando una donna dà alla luce un figlio. È il mistero femminile della Chiesa che è sposa e madre. Non si tratta di dare più funzioni alle donne nella Chiesa – si questo è buono, ma così non si risolve il problema- si tratta di integrare la donna come figura della Chiesa nel nostro pensiero. E pensare anche la Chiesa con le categorie di una donna”.
Questo discorso, al di là dell’obiettiva efficacia di quanto detto dalla dottoressa Ghisoni, sottosegretario del Dicastero vaticano per i Laici, la famiglia e la vita, che ha centrato il problema di fondo dicendo: “Non di rado avverto insofferenza nella Chiesa per l’attenzione che si dedica alla questione degli abusi sessuali sui minori. Un sacerdote, qualche giorno fa, ha esclamato: “Ancora si continua a parlare di abusi? È esagerata l’attenzione che la Chiesa riserva a questo tema!”. Ma anche una signora praticante mi ha detto candidamente: “Meglio non parlare di questi argomenti, perché altrimenti crescerà sfiducia verso la Chiesa. Parlarne offusca tutto il bene che si fa nelle parrocchie. Se la vedano il Papa, i vescovi e i preti tra loro”. Il parlarne, o non piuttosto gli abusi stessi – di coscienza, di potere, sessuali – offuscano il bene che si vive nelle parrocchie? A queste persone – e prima ancora a me stessa – dico che prendere coscienza del fenomeno e rendere conto della propria responsabilità non è una fissazione, non è un’azione inquisitoria accessoria per soddisfare mere esigenze sociali, bensì un’esigenza scaturente dalla natura stessa della Chiesa come mistero di comunione fondato nella Trinità, come Popolo di Dio in cammino, che non evita, ma affronta, con sempre rinnovata consapevolezza comunionale, anche le sfide legate agli abusi occorsi al suo interno a danno dei più piccoli minando e spaccando questa comunione”.
Ma come dicevamo il discorso di Papa Francesco ha un valore al di là di questa analisi perfetta. E quale? Quando dice che il femminismo finisce in machismo con la gonna, Bergoglio dà voce alla sua refrattarietà nei confronti delle ideologie. Affronta il discorso di quelle che abbiamo chiamato “quote rosa” ma di fatto sembra chiedersi: queste donne possono restare tali o sono destinate a seguire un orientamento culturale, comportamentale, che le assimila? Una volta sentii dire da una manager che “nella struttura si contano 100 teste e l’obiettivo del management è tagliare 20 teste”. La cultura della “madre terra” che cambia le priorità anche in un management qui non si percepisce. Se è questo, come io credo, quel che Bergoglio voleva dire, a me sembra che il vero femminista sia lui, che vede nelle donne le portatrici di una cultura che può avviare un processo di autentica trasformazione sociale.