Cambia il mondo, cambia il lavoro. Nell’era del reddito di cittadinanza c’è uno strumento ancora poco usato e non se ne capisce il perché. Il contratto di prossimità, introdotto nel 2011 e sorta di longa manu degli accordi nazionali collettivi. Di che si tratta? Semplicemente di contratti su larga scala ma circoscritti a un determinato territorio o distretto industriale. In pratica, una certa categoria produttiva firma il contratto nazionale con il governo. Successivamente però, i lavoratori della medesima categoria ma concentrati in una regione, per esempio, o in un’azienda, siglano un contratto con il datore di lavoro migliorativo di quello nazionale.
Della natura di tale strumento si è parlato ieri pomeriggio al Cnel, in occasione del dibattito Relazioni di lavoro in prossimità, organizzato dall’Associazione amici di Marco Biagi, presieduta da Maurizio Sacconi, ex ministro del Welfare nel governo Berlusconi IV e da Adapt. Proprio sulla contrattazione di secondo livello, lo stesso Sacconi ha scritto da poco un libro, Teoria e pratica delle relazioni adattive di prossimità. In Italia su oltre 4milioni aziende, al 14 febbraio i contratti al secondo livello sono stati circa 9mila, 8mila aziendali e poco più di 1000 territoriali. Pochi.
Per questo “il contratto di prossimità rappresenta oggi una sorta di nuova frontiera per la contrattazione collettiva”, ha spiegato Luigi Sbarra, segretario generale aggiunto della Cisl. “Nonostante sia uno strumento nato qualche ann o fa, io credo sia arrivato il momento di estenderlo ai diversi settori dell’economia e della produttività, a cominciare dalla tecnologia e dall’agricoltura. Oggi la contrattazione collettiva in Italia soffre, perché c’è un dilagare dei cosiddetti contratti pirata, che vengono negoziati da organizzazioni non rappresentative, che applicano un dumping sociale e lavorativo, arrecando seri danni alle stesse categorie che dovrebbero rappresentare. In questo senso serve uno scatto riformatore da parte di tutti, governo e parti sociali”.
Per Sacconi il contratto di prossimità è anche un modo per comprendere un concetto: il concetto del vecchio contratto di lavoro nazionale è tutto sommato finito, se non altro obsoleto per i tempi che corrono. “Oggi la tecnologia sta riscrivendo la figura del lavoratore, il sistema per così dire centralizzato appare superato. Basti pensare al fatto che oggi ci sono cambiamenti importanti, che parlano di competenze, formazione. Come possiamo pensare di mantenere un vecchio modello” di contrattazione? “Oggi dai territori si possono costruire quegli accordi di continuità di cui abbiamo bisogno e che possono garantire il diritto all’apprendimento, che rappresenta il passaggio da una tutela difensiva, il vecchio articolo 18, a una invece proattiva”.
Profondamente in linea con le osservazioni di Sacconi, il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon. “Ogni territorio ha la sua specificità, artigianale, industriale, sociale e tale specificità deve essere in qualche modo riflessa all’interno della contrattazione. Per questo credo che i contratti di continuità o prossimità possano essere gli strumenti idoenei per assorbire queste diversità”. D’altronde, per ammissione dello stesso sottosegretario, “l’avvio degli stessi centri per l’impiego (propedeutici all’erogazione del reddito di cittadinanza, ndr) agiranno sui più diversi territori del Paese”. Durigon ha ricordato anche un’amara verità e cioè che da oggi l’Italia, dopo la bocciatura dei nostri conti da parte dell’Ue, è di fatto sorvegliata speciale. “Assurdo pensare che oggi veniamo messi alla sbarra per la quota 100, cioè gente esasusta del lavoro che chiede di andare in pensione prima. Possibile che l’Ue vada sempre e comunque in una direzione diversa? Ad oggi abbiamo 64 mila domande di uscita anticipata, la quota 100 non è un’azione di bilancio, contabile, ma un’azione politica, sociale”.