Non si ferma la tensione fra Turchia e Cina e se per Ankara l’episodio era già chiuso, Pechino ha fatto capire che è rimasta alquanto indispettita dalle intemperanze della Mezzaluna e ha chiuso il Consolato di Smirne.
Tutto è iniziato il mese scorso, quando il ministero degli Esteri turco ha protestato per la presunta scomparsa di Abdurehim Heyit, poeta e musicista appartenente alla minoranza degli uiguri, una popolazione turco-musulmana che abita nella regione dello Xinjiang e che da decenni è oggetto di persecuzioni e vessazioni da parte di Pechino. Le accuse della Turchia sono state molto pesanti. Il portavoce del ministero degli Esteri, Hami Aksoy, ha accusato la Cina di aver violato i diritti di circa un milione di uiguri e di aver istituito dei veri e propri campi di reclusione, dove migliaia di persone subiscono lavaggi del cervello perché dimentichino la loro identità originaria. La polemica, per Ankara, era sfumata dopo che Pechino ha dimostrato che l’artista era ancora vivo. Ma il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, ha fatto l’errore di riportare le sue preoccupazioni alle Nazioni Unite, scatenando l’ira del colosso asiatico, che non solo ha smentito nuovamente le accuse mosse da Ankara, ha anche preso tempestive contromisure.
Deng Li, diplomatico cinese in Turchia, ha spiegato alla stampa locale che “ci possono essere differenze di vedute o incomprensioni fra amici, ma vanno risolte attraverso il dialogo. Criticare pubblicamente un amico non è un approccio costruttivo. E se si sceglie un approccio non costruttivo, questo colpirà negativamente la fiducia reciproca e le conseguenze si vedranno nelle relazioni economiche e commerciali”.
Venerdì è arrivata la notizia che il consolato generale cinese a Smirne, aperto nel 2015, è stato chiuso temporaneamente. Non è stato detto chiaramente se si tratti di una decisione da mettere in relazione all’incidente diplomatico fra i due Paesi. Quel che è certo è che molti imprenditori di Smirne hanno scritto lamentandosi delle conseguenze che questa decisione potrebbe avere sul loro business. La città infatti fa parte della One Belt One Road Project, il maxi progetto che dovrebbe dare vita alla nuova via della Seta. E la frattura fra Ankara e Pechino arriva proprio quando la prima dovrebbe essere interessata a consolidare i propri rapporti con il colosso asiatico, anziché metterli in discussione.
L’interscambio commerciale fra Turchia e Cina è di circa 23 miliardi di dollari, il contributo della regione di Smirne è di circa 850 milioni di dollari. Lo scorso luglio la Banca commerciale e industriale di Cina ha prestato alla Turchia 3,6, miliardi di dollari per investimenti nel settore energetico e delle infrastrutture. Banche cinesi nei mesi scorsi hanno manifestato potenziale interesse per l’acquisizione di banche turche. Il tutto in un Paese, la Turchia, dove l’economia sta attraversando un momento di crisi e dove gli investimenti di Pechino sono più che mai vitali.
Pechino lo sa e, per quanto la posizione geografica della Turchia sia una carta vincente nelle mani di Erdogan, sta cercando di fare capire al presidente turco che non può dettare le condizioni della loro alleanza.