“4% o non 4%, bisogna provarci insieme”. Con queste parole Pino Pisicchio, nuovo presidente del Partito democratico europeo (Pde) ha commentato con Formiche.net la soglia di sbarramento a cui andrà incontro la lista europeista che, assieme ad altre forse liberal-democratiche, il prossimo 26 maggio, quando saranno chiamati a votare tutti i cittadini europei per rinnovare il Parlamento. Elezioni più che mai incerte, con l’avvento dei sovranisti da una parte e l’uscita della Gran Bretagna che non parteciperà, quindi, alla composizione del nuovo Parlamento.
Formiche.net ha parlato con il presidente del Pde delle sfide che aspettano non solo in suo partito, ma l’Europa tutta, di cui si parlerà anche venerdì 8 ad un convegno con tutte le forze europeiste coinvolte nella formazione delle liste.
Pisicchio, da oggi lei è il nuovo presidente del Partito democratico europeo (Pde). Da dove nasce e dove vuole andare?
Il Pde è una formazione politica europea, nel senso che è nata con un crisma europeo nel 2003 ad opera di personalità politiche come Francesco Rutelli e Francois Bayrou, centrista che si candidò alla presidenza della Francia già in diverse occasioni, e altri parlamentari europei tra cui anche me. Questa formazione ha continuato in tutti questi anni ad avere una rappresentanza europea di 10-15 parlamentari a Bruxelles. È una formazione a vocazione riformista, liberal democratica, solidarista, ed anche con forti aperture ecologiste e oggi nella proiezione italiana si propone di mettere insieme tutte le forze che sono compatibili con una eguale visione, in vista delle elezioni del 26 di maggio.
Una lista europeista alla Calenda?
Siamo fuori dallo schema proposto da Calenda, che propone una visione comune pro-europea con una lista unitaria, ma che si debba sviluppare assieme al Partito democratico e a tutti quelli che la pensano in chiave anti-sovranista, per comprendersi. Ecco, noi riteniamo invece che non possa funzionare lo schema dei fronti popolari, non ha mai funzionato in Italia – un esempio su tutti quello del ’48 del Pc con il Partito socialista e le forze di sinistra – e non funziona in particolare quando si è in ambiente proporzionalistico, come quello delle europee, che invece richiama un’offerta plurale e non unica.
Queste elezioni vedranno tante prime volte: la prima volta senza la Gran Bretagna, la prima volta di un confronto così forte con movimento anti-europeisti. Come si pone il Pde davanti a queste sfide?
Intanto si propone di riaffermare una vocazione europeista. Noi italiani viviamo in una condizione abbastanza paradossale. Come avrà visto l’Eurobarometro a fine dell’anno scorso ha diffuso un sondaggio da cui discendeva un dato: il 64% degli italiani è pro-europeo. Da questo punto di vista è l’affermazione di una vocazione antica, che nasce dai tempi di De Gasperi e si è sempre riaffermata con l’antico referendum consultivo che registrò l’europeismo italiano. E però più o meno sulla stessa percentuale si trova anche il consenso che ha il governo. Le due forze che lo compongono, almeno a dicembre, si attestavano sul 57-58%, solo qualche punto in meno rispetto agli europeisti.
Come si coniugano questi due dati?
Si rendono compatibili se capiamo che esiste una forma mistificatoria rispetto al sentiment italiano. Cioè, c’è una comunicazione che è stata fortemente orientata nella direzione del dire, da parte di questo governo, che tutto il male deriva dall’Europa, a cominciare dall’aspetto che maggiormente è sembrato preoccupare gli italiani, ossia l’ondata migratoria, fino all’Europa dei burocrati cattivi, dei poteri forti e fortissimi. Bisogna fare un’operazione verità, ed è la prima grande opera che dobbiamo compiere insieme: spiegare che l’Europa non solo è la nostra vocazione, il nostro destino, la nostra ineluttabilità, ma è anche l’unico modo che abbiamo per difenderci in un mercato e in un mondo nel quale sembra che tutto cooperi per rimuovere l’Europa.
In che senso?
Non credo sia una novità la circostanza che vede ormai una convergenza di interessi da parte di Trump e Putin a rimuovere questo soggetto terzo che è l’Europa che rompe lo schema e l’equilibrio dei giganti. Credo che una parte ce l’abbia anche la Cina, in questo senso, ed è per questo che è giusto che l’Ue esista. Certo, non tutte le critiche che vengono mosse all’Europa sono del tutto al di fuori da ogni ragionevolezza, per esempio che ci sia un di più della burocrazia rispetto alla politica mentre le scelte politiche devono restare in sede politica. Questo avviene anche perché la politica si è frantumata, invece sarebbe il caso di farla ridiventare forte, ridando un senso politico alle nostre azioni. Così come bisognerebbe riprendere il percorso di un’Europa sociale, non solo di un’Europa finanziaria, cosa che fino ad oggi è sembrata prevalere. Insomma, siamo chiamati a una forma di rifondazione delle ragioni che ci hanno fatto stare insieme, tenendo conto della straordinarietà della Brexit, che ci fa da “warning”. Questo non solo perché è la prima volta che un Paese membro prende la porta d’uscita, al di là dell’articolo 50 dei trattati che in qualche modo indica le procedure per renderla effettiva, ma anche per un dato: i nostri padri non avevano mai immaginato che qualcuno potesse ritrarsi, quindi abbiamo costruito l’Europa immaginando che fosse un percorso tutto evolutivo, mai passi indietro. Su questo è necessario riflettere.
I padri dell’Europa non avevano neanche immaginato la possibilità dell’avvento dei sovranisti…
È vero. Oggi abbiamo anche questa forte ondata dei cosiddetti sovranisti, degli anti-europeisti, e questo per la prima volta comincia a rappresentare un fenomeno diffuso e trasversale presente in più Paesi, ma un fenomeno in grado di minacciare l’equilibrio europeo. Quindi occorrerà operare per una rifondazione dell’Europa e delle sue istanze attingendo dalle sue ragioni primigenie, e ugualmente bisognerà creare ragioni di solidarietà tra i partiti europeisti per tentare di arginare questa slavina che potrebbe affossare tutte le nostre idealità e il nostro futuro. Ma c’è un altro punto che va considerato.
Quale?
La generazione di chi ha la mia età, ma anche qualche anno meno di me, si pone problemi su come rapportarsi all’Europa, mentre le giovani generazioni no. Le giovani generazioni sono naturalmente europeiste. Quest’anno si celebreranno i 30 anni dalla caduta del muro di Berlino: tutti i ragazzi che sono sotto questa soglia di età non si pongono neanche il problema Europa sì-Europa no, sono già europeisti, sono i ragazzi dell’Erasmus, hanno vissuto un tempo in cui gli spazi nazionali sono un ricordo del passato. Allora, questo ci deve portare a capire che forse dobbiamo fare un’operazione di svecchiamento mentale, soprattutto noi che non siamo ragazzi.
Non solo i sovranisti, però, parlano della necessità di cambiare l’Europa, penso alle normative sull’immigrazione. Secondo lei da dove si dovrebbe partire?
Intanto dobbiamo considerare che l’Europa è oggi molto più vissuta, come dicevamo prima, come burocrazia che come strumento di propulsione sia dal punto di vista della solidarietà tra Stati sia da un punto di vista della proiezione esterna del continente, quindi dell’Unione. Questo è un guaio, perché se hai a che fare con i burocrati e pensi di avere come interfaccia non una realtà viva, ma che produce carte, moduli e procedure e basta diventa complicato interagire. Il secondo aspetto riguarda l’insieme, non tanto delle normative, quanto la loro dimensione attuativa.
Ci spieghi meglio.
Vede, io insegno tra le altre materie, diritto dell’immigrazione. Non c’è nulla di più perfetto e di più alto da un punto di vista della solidarietà di quello che l’Unione europea dice a partire dai trattati costitutivi fino al protocollo di Nizza, però guarda caso la dimensione attuativa diventa sempre molto perplessa. Uno dei punti di maggiore fragilità della normativa europea è rimasto Dublino, nelle sue varie declinazioni. In sostanza, siccome l’Europa è i singoli Paesi che la compongono, nel momento nel quale uno di questi Paesi si trova ad essere il Paese di primo impatto con chi europeo non è ha una serie di incombenze e di responsabilità per conto di tutta l’Europa.
Cosa è cambiato oggi rispetto al passato? I flussi migratori in Europa ci sono sempre stati.
Il punto è che una volta questo problema si muoveva da est verso i Paesi dell’ex patto di Varsavia, gli esodi avvenivano in quella zona. Adesso si muovono dal Mediterraneo a salire, quindi impattano su Italia, Grecia, Malta, Spagna eccetera. È evidente che c’è qualcosa che non funziona, cioè la solidarietà non può essere espressa solo a parole, ma si deve declinare in modo concreto. Allora, rivedere non i principi ma le norme attuative – ossia le modalità attraverso cui i principi vengono poi declinati – diventa un progetto legato all’attuazione della solidarietà europea.
In previsione delle europee, quali sono i prossimi appuntamenti del Pde?
Ne abbiamo uno fresco fresco per venerdì: facciamo un momento di riflessione sui temi europei a cui abbiamo invitato tutte le formazioni politiche che sono sull’asse liberal-democratico, civico, anche ambientalista.
Per fare nomi e cognomi?
Parliamo di +Europa, i Verdi, Demos che comprende Mario Giro e Sant’Egidio, i ragazzi di Volt, una bellissima esperienza di ragazzi sotto i 30 anni che hanno fatto un partito in tutti i Paesi europei e che hanno una visione compatibile con la nostra. Naturalmente abbiamo invitato anche Carlo Calenda, una persona di tutto rispetto con cui, però, non condivido l’idea di andare con il Pd.
Perché?
Non credo che convenga neanche al Partito democratico, ma come ho detto prima in un sistema elettorale proporzionale più articolata è l’offerta, più si vanno a recuperare segmenti di elettorato, quindi noi ci proveremo. Lanciamo l’idea di stare insieme e di lanciare una lista comune, anche perché c’è un muro più alto di quello di Berlino, rappresentato dallo sbarramento, secondo me idiota, del 4%. Idiota perché in Europa non si va a fare governo, si va a fare rappresentanza. Se metti uno sbarramento così alto serve solo a far fuori un po’ di partiti, un po’ di liste, e a consentire che i partiti più grossi possano prendere qualche seggio in più.
Un’altra cosa da cambiare, quindi.
Assolutamente. Io sono stato uno dei pochissimi che nel 2009 ha votato contro questa legge. Pensi che la Corte Costituzionale tedesca ha bocciato due volte lo sbarramento, infatti ora in Germania non c’è. La politica non esiste se non come effetto dei sistemi elettorali, punto. Questo è il quadro nel quale ci muoviamo. Comunque, 4% o non 4%, bisogna provarci insieme.