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Le poche luci e le tante ombre dei porti italiani. L’analisi di Fedespedi

La riforma del settore voluta dall’ex ministro Graziano Delrio ha ridisegnato la governance con nuove macro aree e 15 autorità portuali, ma i dati che arrivano dall’outlook del Centro Studi Fedespedi, la Federazione nazionale delle imprese per le spedizioni internazionali, fotografano alcune criticità per i porti italiani che nel 2018 hanno movimentato oltre 10 milioni di teu (l’unità equivalente a venti piedi), in diminuzione del 2,4% rispetto al 2017.

Una flessione che preoccupa, nonostante ci sono buoni risultati per Trieste (+17,7%), Napoli (+13,0%) e Venezia (+3,4%), quello che è certo che continua la crisi dei porti di transhipment con le pesanti flessioni di Gioia Tauro (-5,9%) e Cagliari (-53,2%) e Genova che ha limitato le perdite (-0,5%) dopo la tragedia del ponte Morandi. Il problema però come sottolineano dal Centro Studi di Fedespedi è che il dato è “in controtendenza rispetto a quanto si registra nel resto del Mediterraneo, con i porti stranieri a partire da quello del Pireo che hanno movimentato complessivamente 27,6 milioni di teu, con un aumento dell’8,8% sul 2017, oltre al consueto andamento positivo dei porti del Nord Europa, che hanno aumentato i loro traffici del +3,3%, con 44,3 milioni di Teu movimentati”.

Le cause sono diverse, a partire dalla concorrenza cinese che ha fatto del Pireo (+20%) la sua base logistica prima con Cisco Shipping e dopo con Evergreen che ha recentemente abbandonato Taranto. Nel report si evidenziano anche le “problematiche aperte” che potrebbero influire in questo nuovo anno sullo scambio delle merci. “Per capire i motivi del calo di movimentazione dei porti italiani bisogna prima di tutto avere una visione complessiva delle dinamiche globali del mercato – si spiega nel report – ad influire sono senza dubbio le politiche protezionistiche e daziarie di Trump, la flessione della crescita cinese e il conseguente rallentamento delle economie dell’eurozona, poi l’incognita Brexit e il rischio di un mancato accordo tra Ue e Regno Unito”. Insomma, il quadro macro economico internazionale influisce anche sugli scambi commerciali.

Per Silvia Moretto, presidente di Fedespedi tuttavia “la perdita di competitività è un grave fattore di rischio per l’Italia e questo ritardo va recuperato con un gioco di squadra tra pubblico e privato per il miglioramento dell’efficienza dei sistemi di controllo delle merci in entrata/uscita, per migliorare il servizio reso alle imprese importatrici ed esportatrici”. In discussione sembra esserci proprio la governance impostata dalla riforma Delrio che dopo oltre vent’anni di tira e molla era riuscito a mettere mano al nostro sistema portuale. Una riforma che l’attuale governo vorrebbe mandare in soffitta con un nuovo piano nazionale ridisegnando e accorpando le 15 autorità portuali esistenti.

Un disegno chiaro al ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli e al suo vice Edoardo Rixi. Nel contratto di governo gialloverde infatti si guarda soprattutto agli scali con maggiore traffico: Genova, Trieste e, seppure in maniera più limitata, Napoli. Si parla di “gateway”, cioè le aree di sdoganamento, e non di “transhipment”, ovvero del passaggio delle merci da una nave all’altra. Il ministero punterebbe in pratica alla creazione di una grande autorità per il Tirreno e una per l’Adriatico, lasciando autonomia di manovra soltanto a Napoli con il suo milione di container mobilitati.


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