Nuovi tentativi di bluff, in quel gioco del cerino, che è diventato il progetto della Tav su cui, ultimissima da Palazzo Chigi, si deciderà tra sei mesi visto che i bandi Telt sono stati fatti slittare a dopo l’estate. Dice Luigi Di Maio che non è giusto impegnare i soldi degli italiani in un progetto che va ridiscusso sia con i partner francesi che a livello europeo. Incomprensibile, quindi, la posizione di Matteo Salvini, che non sembra disponibile a venire incontro alle grandi perplessità dei 5 Stelle. Quando invece in altri provvedimenti controversi, come la legittima difesa o il decreto sicurezza, i 5 Stelle, seppure a malincuore, avevano chinato il capo alla necessaria realpolitik della stabilità di governo.
Risponde il capo della Lega. Nessuna impuntatura, il progetto può essere ridiscusso, come indicato nel contratto di governo, ma non certo eliminato. Ed, in effetti, nel documento si legge testualmente: “Con riguardo alla Linea ad Alta Velocità Torino-Lione, ci impegniamo a ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia.” Una discussione che, alla fine, presuppone un nuovo accordo e non certo la rescissione, che altro non sarebbe che un atto unilaterale, visto che la Francia ha più volte manifestato la sua volontà nel proseguire.
Questo, quindi, il contesto giuridico, che Giuseppe Conte, “l’avvocato del popolo” dovrebbe padroneggiare, con una certa facilità. E procedere di conseguenza. Consentendo la pubblicazione del bando di gara da parte della Soc.Telt, responsabile dei lavori per la realizzazione del traforo, al fine di evitare le sempre possibili sanzioni da parte della Commissione europea. Che valgono 300 milioni di euro. Nel rispettare le nuove scadenze, vista la proroga concessa di sei mesi, secondo quanto detto da Laura Castelli, c’è soprattutto la necessità di dimostrare la buona fede italiana. Vale a dire discutere di eventuali ulteriori modifiche ad un progetto, più volte rimaneggiato, ma non certo accampare nuove scuse per mandare tutto alla malora.
Del resto, per quanto si possa ancora allungare il brodo, il risultato finale, difficilmente, potrà coincidere con i desiderata dei 5 stelle. Ogni giorno che passa, si precisano meglio i contorni di una vicenda, che Danilo Toninelli, ministro delle infrastrutture, ha cercato di piegare alle esigenze tattiche degli ortodossi del suo partito. L’ultimo episodio in ordine di tempo è il documento: “The impact of TEN-T completion on growth, jobs and the environment”, commissionato dalla Commissione europea e realizzato con il contributo della Trt, la società in cui il Prof. Ponti, l’artefice (pollice verso) dell’analisi costi – benefici sulla Lione – Torino, ha un ruolo di rilievo.
Vicenda sempre più grottesca. Basti leggere il comunicato della stessa società. “ A seguito delle informazioni apparse sulla stampa in merito al coinvolgimento di Trt nella Struttura di Missione nominata dal Ministero Infrastrutture e Trasporti, la direzione della società precisa quanto segue:
Il professor Ponti, Presidente di Trt, non svolge da tempo attività professionale per conto di Trt mentre detiene in quest’ultima una partecipazione azionaria e rappresentativa priva di poteri legali. La sua attività nell’ambito del Ministero Infrastrutture e Trasporti è svolta a titolo personale.” Mentre altri due membri di quella stessa commissione ministeriale (Riccardo Parolin e Paolo Beria) avevano comunque avuti rapporti di collaborazione con la Trt.
L’importanza del documento europeo non é tanto il suo risultato. La dimostrazione dei vantaggi connessi con la realizzazione dei grandi Corridoi. Che specie per quello mediterraneo (il Corridoio 5) ha addirittura un ritorno superiore alla media. Ma l’ulteriore indicazione che, a differenza da quanto sostenuto dai 5 stelle, la tratta Torino – Lione non può essere artificialmente estrapolata dal più generale contesto in cui essa è inserita. Dire che in quel particolare punto del progetto i costi superano i benefici, è guardare al dito che indica la luna. Se l’analisi costi – benefici ha da essere, essa deve riguardare l’intero progetto, come avvenuto nel documento appena richiamato,
e non limitarsi a scegliere il fiore o la testa su cui far cadere la mannaia. Come é avvenuto, alterando in tal modo il giudizio di merito.
La cosa, ormai, è talmente evidente da non prestarsi ad ulteriori contestazioni. Ma con quali conseguenze? Questo è un secondo aspetto, completamente sottovalutato da Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. Dire no alla Torino – Lione, significherebbe tornare in Parlamento, per modificare le leggi che, in passato, avevano approvato la realizzazione dell’opera. C’è forse una maggioranza a favore di questa seconda ipotesi? A giudicare dalle prese di posizione assunte da tutte le forze politiche italiane, sembrerebbe di no. Voterebbero a favore solo i 5 Stelle ed una sparuta minoranza di esponenti della sinistra massimalista. Troppo pochi per determinare un’inversione di tendenza. Ma sufficienti per mostrare all’estero, ancora una volta, il volto di un’Italia, incapace di essere normale.