Le grandi manovre in vista del prossimo Parlamento europeo hanno già una scadenza importante, quella del 20 marzo quando l’assemblea del Ppe dovrà decidere se espellere Fidesz, il partito del premier ungherese Viktor Orban, per il suo palese attacco alla politica della Commissione europea guidata da Jean-Claude Junker, anche lui popolare. Orban potrebbe unirsi all’Ecr, il gruppo dei Conservatori e riformisti di cui fanno già parte il partito del premier polacco, Jaroslaw Kaczynski, e Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Adolfo Urso, senatore di FdI, è appena tornato da incontri avuti a Budapest con il presidente del Parlamento Röver Laszló, il ministro degli Affari Europei, Szabolcs Takäcs, e il presidente della Fondazione Századveg, il principale think thank sovranista d’Europa.
Senatore Urso, gli ungheresi hanno già deciso di uscire dal Ppe o ci sono margini di trattativa?
Loro non vogliono cedere assolutamente e daranno battaglia fino alla fine. Nel frattempo stanno preparando un’alternativa, in modo trasparente, ragionando sull’ingresso nel gruppo Ecr che, con l’uscita di conservatori inglesi, è oggi guidato dai polacchi. L’accusa all’Unione europea è di non aver difeso i confini esterni e Orban spesso ha detto che l’Italia è stata lasciata sola.
Lei ha detto che il Trattato di Aquisgrana tra Francia e Germania rischia di far esplodere l’Unione.
Ci siamo trovati pienamente d’accordo sul fatto che francesi e tedeschi vogliono dominare l’Europa, che invece deve tornare a essere l’Europa dei popoli e degli Stati, e che la Commissione europea si comporta come se fosse un altro Stato alleato di Berlino e Parigi. Anche noi di Fratelli d’Italia pensiamo che bisogna tornare all’Europa delle origini, quella fondata con i Trattati di Roma da Germania, Francia e Italia che allora erano in posizioni paritarie. Serve un’alleanza tra le Nazioni dell’Europa centrale, oggi raccolte in Visegrad, e le nazioni dell’Europa mediterranea, con Italia in prima fila, per riequilibrare il predominio tedesco e, sui temi culturali, quello dei Paesi scandinavi e del Benelux che hanno trasformato l’Unione in una scatola vuota. Il vulnus nasce quando la Convention di Parigi rifiutò di affermare le radici giudaico-cristiane d’Europa.
La Lega alla fine aderirà a questo blocco sovranista?
È possibile che ciò avvenga, peraltro Matteo Salvini è già stato a Varsavia, ma il disegno riguarda anche partiti di altri Paesi come gli spagnoli di Vox e i francesi di Nicolas Dupont-Aignan.
Alle elezioni, dunque, si scontreranno due visioni opposte di Europa: quella franco-tedesca e quella dei partiti di destra sovranista.
Sì, certamente. Sarà una contrapposizione sul futuro dell’Europa tra chi ha una visione burocratica dell’Unione funzionale alla Grande Germania e chi ritiene, invece, che occorra riaffermare l’Europa dei valori, casa comune delle Nazioni. Nel contempo, si rafforza l’asse occidentale, come ha dimostrato l’intervento di Giorgia Meloni a Washington, insieme a Donald Trump, alla Cpac, la grande convention dei conservatori statunitensi. Non è solo un tema europeo, ma globale. E Fratelli d’Italia si trova nella principale famiglia della destra occidentale.
Silvio Berlusconi difende Orban e lo invita a non uscire dal Ppe. In chiave di voto italiano alle elezioni europee, alla fine passerà un messaggio basato sui valori di chi vuole difendere il Ppe o quello più rigido dei sovranisti?
Nel Partito popolare Orban è difeso dagli italiani e dagli spagnoli che vorrebbero spezzare anch’essi l’alleanza con i socialisti. Ancora una volta, però, la decisione è nelle mani dei tedeschi. Nell’Italia di oggi e in gran parte d’Europa c’è più appeal verso la destra di governo sovranista, che difende la cultura e la civiltà cristiana e occidentale, piuttosto che per la vecchia immagine del Ppe, subordinato al predominio francese e tedesco che ha snaturato l’Unione.
Il tema dell’immigrazione sarà ancora una volta decisivo? Orban ha difeso l’Italia, ma non ha mai accettato le quote di immigrati da ricollocare.
Le elezioni si decideranno su due temi: immigrazione e sicurezza da un lato, economia dall’altro. In entrambi, il modello di Orban appare vincente: l’Ungheria ha difeso la frontiera terrestre dell’Unione, così come l’Italia sta difendendo la frontiera mediterranea, in ogni caso nell’assenza dell’Unione. Ancora più evidente, il successo della politica economica di Orban: l’Ungheria segna il tasso di crescita più elevato d’Europa, con la stessa ricetta che era nel nostro programma elettorale, purtroppo dimenticato dalla Lega quando sottoscrisse il suo Contratto di governo: flat tax al 15 per cento; tassa massima su impresa 9 per cento, se reinveste gli utili solo il 4,5; la disoccupazione è sotto al 4 per cento, cioè sotto alla soglia fisiologica, e quindi la piena occupazione è già raggiunta; il reddito ungherese aumenta del 10 per cento l’anno; c’è una forte politica di sostegno alle famiglie e alla natalità. Il Sole 24 ore ha appena scritto che un’impresa italiana al giorno va in Ungheria. Mentre noi siamo in recessione quello è il modello che funziona: l’economia sarà un tema più importante dell’immigrazione. Anche Salvini dovrà rivedere i suoi conti.